Con una recente sentenza del 14 ottobre 2018, n. 10386, il Tribunale Milano si è pronunciato nella causa promossa da alcuni acquirenti di talune unità abitative, nei confronti della società appaltatrice onde vederla condannare al risarcimento dei danni subiti per i vizi ed i difetti degli immobili e consistenti, nel caso di specie, in infiltrazioni e spifferi dagli infissi; vizi, peraltro, accertati all’esito di un precedente accertamento tecnico preventivo.
La società appaltatrice si é difesa eccependo, in primis, la decadenza e la prescrizione dell’azione proposta dagli attori e negando, nel merito, la propria responsabilità, proponendo a tal uopo domanda di manleva nei confronti del subappaltatore, del progettista e del direttore dei lavori.
Orbene, quali sono i presupposti e i termini dell’azione?
Il Tribunale adito ha esaminato l’eccezione preliminare alla stregua del triplice (e più favorevole rispetto a quelli di cui all’art. 1667 c.c.) termine previsto dall’art. 1669 c.c. (norma astrattamente applicabile alle tipologie di vizi lamentati dagli attori), conformemente all’orientamento della giurisprudenza di legittimità secondo cui, in tema di d’appalto, l’art. 1669 c.c. è applicabile, ricorrendone tutte le altre condizioni, anche alle opere di ristrutturazione edilizia ed, in genere, agli interventi manutentivi o modificativi di lunga durata su immobili preesistenti che (rovinino o) presentino (evidente pericolo di rovina o) gravi difetti incidenti sul godimento e sulla normale utilizzazione del bene, secondo la destinazione propria di quest’ultimo (cfr. Cass. civ. sez. Unite, 27/03/2017, n. 7756), anche se incidenti su elementi secondari ed accessori dell’opera (quali impermeabilizzazione, rivestimenti, infissi, pavimentazione, impianti, ecc.), purché tali da compromettere la sua funzionalità e l’abitabilità ed eliminabili solo con lavori di manutenzione, ancorché ordinaria (cfr. Cass. civ. sez. II, 28/04/2004, n. 8140).
1) l’applicabilità dell’art. 1669 c.c. presuppone il compimento dell’opera, da cui la norma fa decorrere il termine decennale entro il quale devono manifestarsi i vizi costruttivi;
2) dalla scoperta dei gravi difetti decorre il termine di un anno per la denuncia degli stessi all’appaltatore;
3) dalla denuncia, a sua volta, decorre il termine annuale di prescrizione dell’azione.
Come precisato dalla Suprema Corte, tali termini sono interdipendenti, nel senso che, ove uno soltanto di essi non sia rispettato, la responsabilità dell’appaltatore nei confronti del committente (o dei suoi aventi causa) non può essere fatta valere (Cass. civ. sez. II, 30/07/2004, n. 14561).
La prescrizione, quindi, decorre solo dopo la denuncia dei vizi?
Per verificare il rispetto del termine di decadenza annuale per la denuncia dei gravi vizi di cui all’art. 1669 c.c., è necessario identificare il momento della loro scoperta.
Nella fattispecie all’esame del Tribunale di Milano, gli attori avevano dedotto sin dall’atto introduttivo che i lamentati vizi si sarebbero verificati subito dopo la loro presa di possesso delle rispettive abitazioni e che li avrebbero tempestivamente denunciati all’impresa appaltatrice, richiedendole specifici interventi per rimediare a quanto da loro visivamente riscontrato e ricevendone riscontro, non solo per iscritto, ma anche con l’esecuzione di alcuni interventi, benché limitati: nella risposta inviata agli acquirenti, l’appaltatrice ha sostenuto, infatti, che non si tratterebbe di infiltrazioni, ma semplicemente della c.d. fioritura dell’imbiancatura. Seguiva una raccomandata inviata dal legale degli acquirenti.
Tuttavia, dalla documentazione prodotta in giudizio, non risultano successivi atti interruttivi della prescrizione fino alla notifica del ricorso per A.T.P. (intervenuta a distanza di un anno e mezzo dall’invio della raccomandata), a termine prescrizionale, quindi, già spirato.
Sul punto, si rammenta che il termine annuale di prescrizione di cui all’art. 1669 c.c. si lega unicamente, sotto il profilo cronologico, alla denuncia dei vizi che, pertanto, è atto vincolante la decorrenza del termine prescrizionale (cfr. Cass. civ. sez. II, 19/10/2012, n. 18078).
E sulla scoperta dei vizi: è necessaria una C.T.U.?
Alle medesime conclusioni si perviene anche utilizzando l’interpretazione più favorevole ai danneggiati che permette di identificare il momento della scoperta dei vizi con la data di acquisizione di una perizia tecnica, commissionata dopo l’invio dell’ultima raccomandata, ma prima dell’A.T.P.
Perizia che è stata redatta, non solo a seguito di sopralluoghi, ma anche dell’esecuzione di sondaggi invasivi che hanno evidentemente consentito agli attori di conseguire quell’apprezzabile grado di conoscenza oggettiva della gravità dei vizi e della loro derivazione causale dall’operato della convenuta, richiesto dalla giurisprudenza di legittimità ai fini della decorrenza del termine annuale di denuncia di cui all’art. 1669 cod. civ. (cfr. Cass. civ. sez. II, 22/02/2010, n. 4249), a nulla rilevando che le manifestazioni fenomeniche di tali vizi, risalissero ad anni addietro.
Né può avere alcuna influenza in ordine ad un ipotetico spostamento in avanti della scoperta dei vizi in questione l’integrazione della predetta perizia tecnica di parte, nella quale non vengono riscontrati nuovi vizi o aggravamenti degli stessi, ma semplicemente si prende in esame un diverso intervento risolutivo.
Ed ancora, è da escludere che il successivo ricorso ad un accertamento tecnico preventivo possa giovare ai danneggiati quale escamotage per essere rimessi in termini, avendo già avuto conoscenza dell’entità e delle cause del vizio (cfr., Cass. civ. sez. II, 27 novembre 2012, n. 21089; Cass. civ. sez. II, 31 gennaio 2008, n. 2313).
Ne consegue lo spirare del termine prescrizionale, essendo passato più di un anno tra la data della perizia e la notifica del ricorso per A.T.P.
E l’appaltatore che esegue alcuni interventi, riconosce di tal maniera i vizi?
Il Tribunale adito esclude, poi, che il riconoscimento di vizi di portata inferiore (con la conseguente esecuzione di limitati interventi rimediali) da parte della appaltatrice possa assumere valenza rispetto ai vizi accertati nella loro effettiva gravità solo successivamente (con la consulenza tecnica sopra menzionata ed il successivo A.T.P.), per un duplice ordine di motivi: a) non potrebbe sanare una decadenza avveratasi posteriormente, b) sia perché il riconoscimento non ha assunto connotazioni tali da comportare l’assunzione da parte della convenuta di un’obbligazione di ripristino, con conseguente decorrenza del termine di prescrizione ordinaria decennale.
In particolare, dai documenti prodotti in causa, non emerge il raggiungimento di un accordo tra le parti in merito agli interventi rimediali da eseguire, atteso che dalle comunicazioni dell’appaltatrice si evince semplicemente l’esecuzione di piccole opere di rappezzo, per cui è da escludere che la società appaltatrice abbia assunto un’autonoma obbligazione di facere, come tale svincolata dal termine di prescrizione di cui all’art. 1669 cod. civ. e soggetta alla prescrizione ordinaria decennale. L’eccezione preliminare di decadenza e prescrizione avanzata dalla appaltatrice è stata accolta, con conseguente rigetto delle domande attoree.
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