Esclusione di procedibilità nei casi di particolare tenuità del fatto

La sentenza della Cass. penale, Sez. unite, n. 43264 del 16.07.2015 ha definito il contrasto giurisprudenziale esistente in tema di improcedibilità nei casi di particolare tenuità dei fatti, qualora l’azione penale sia già esercitata, così come prevista all’art. 34 c. 3 (“Se è stata esercitata l’azione penale, la particolare tenuità del fatto può essere dichiarata con sentenza solo se l’imputato e la persona offesa non si oppongono.) del D.lgs. n. 274 del 28.08.2000, disciplinante le Disposizioni sulla competenza penale del giudice di pace

Gli orientamenti contrapposti prevedevano rispettivamente:

– che la mancata comparizione della parte offesa non possa essere considerata quale volontà di non opporsi alla eventuale valutazione del giudice sulla particolare tenuità del fatto (Sez. V, n. 49781 del 21.09.2012), poiché si tratterebbe di un comportamento neutro non espressivo di alcuna volontà specifica (Sez. V, n. 33763 del 09.07.2013) e seppure ci fosse la possibilità di inferire la volontà di non opporsi da fatti sintomatici, questi dovrebbero essere univoci, ovvero specificamente rivelatori di tale volontà (Sez. V, n. 33689 del 07.05.2009);

– che invece la mancata comparizione in udienza implica una volontà di rinuncia alle facoltà da esercitarsi in giudizio tra cui quella di opporsi all’esito del procedimento per particolare tenuità del fatto (Sez. V, n. 9700 del 05.12.2008).

Le Sez. Unite hanno ritenuto che entrambi gli orientamenti prendessero il via da un presupposto errato, ovvero ricollegavano la mancata comparizione in giudizio ad una adesione o meno nei confronti dell’esito della procedura di fronte il giudice di pace, quando invece per l’operatività dell’istituto a quo è richiesta una condizione negativa consistente in una non opposizione da parte dell’imputato e della persona offesa (come previsto anche dall’Ordinanza della Corte Costituzionale n. 63 del 2007) al giudizio di particolare tenuità.

La volontà di opposizione, quale atto personalissimo che incide sulla procedibilità dell’azione, deve risultare in modo inequivoco, implicitamente ad esempio attraverso memorie ex art. 90 c.p.p., oppure può desumersi, come nel caso in cui la persona offesa, costituitasi parte civile in quanto soggetto danneggiato dal reato, formuli in udienza, a mezzo del procuratore speciale, richiesta di risarcimento dei danni.

La Cassazione prevedendo come la mancata comparizione sia fatto rilevante ai fini della valutazione del giudice di Pace in merito alla operatività dei requisiti previsti dall’art. 34 c. 3 D.lgs. n. 274 e che non possa desumersi da detta situazione alcuna volontà di opposizione, ha enunciato tale principio di diritto:

“Nel procedimento davanti al giudice di pace, dopo l’esercizio dell’azione penale, la mancata comparizione in udienza della persona offesa, regolarmente citata o irreperibile, non è di per sé di ostacolo alla dichiarazione di improcedibilità dell’azione penale per la particolare tenuità del fatto in presenza dei presupposti di cui al D.lgs. 28 agosto 2000, n. 274, art. 34, comma 1“.

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