Divieto di patto commissorio e mutuo

Caio stipulava con la Banca Alfa un contratto di mutuo per l’acquisto dell’immobile Tuscolano; la Banca pretendeva però la sottoscrizione, con contratto separato, da parte di Caio di una procura a vendere l’immobile in questione, con la quale sarebbe stata autorizzata a vendere l’immobile nel caso di inadempimento al contratto di mutuo, trattenendo la somma dovuta e restituendo l’eccedenza a Caio.

In via preliminare, è opportuno premettere brevi cenni sugli istituti sottesi al caso in esame.

Il mutuo, disciplinato agli artt. 1813 c.c. e seguenti, è un contratto con il quale una parte, detta mutuante, consegna ad un’altra parte, detta mutuatario, una somma di danaro o una certa quantità di cose fungibili; per contro, il mutuatario si obbliga a restituire al mutuante altrettante cose della medesima specie e qualità, o la stessa somma di danaro.

Si tratta di un contratto reale, in quanto si perfeziona con la consegna del bene, o con il conseguimento della disponibilità di questo.

L’art. 2744 c.c. stabilisce il cosiddetto divieto di patto commissorio; in base alla norma de qua, è affetto da nullità il patto con il quale viene stabilito il passaggio di proprietà di un bene ipotecato o dato in pegno al creditore in mancanza del pagamento del credito di quest’ultimo. La nullità si produce tanto nel caso in cui detto patto sia contestuale alla costituzione di pegno od ipoteca, quanto nel caso in cui sia stipulato successivamente.

La ratio sottesa a tale divieto è duplice: da un lato, si vuole tutelare il debitore, che di fatto è la parte debole di un contratto, dalle coercizioni e coartazioni del creditore. Da un diverso punto di vista, il legislatore ha voluto tutelare la par condicio creditorum, ossia la parità tra i creditori, ed evitare a tal fine l’automaticità tra inadempimento e conseguenze sfavorevoli, in quanto l’inadempimento può essere causa di tali conseguenze solo a seguito di accertamento giudiziale.
Ciò premesso, si tratta di considerare se i contratti stipulati da Caio con Alfa possano essere considerati violazione del divieto di patto commissorio.

Occorre in primo luogo chiarire se l’art. 2744 c.c. costituisca una norma eccezionale, e quindi non applicabile in via analogica, ovvero se, al contrario, non sia da considerarsi tale e possa di conseguenza essere applicata analogicamente.

La giurisprudenza maggioritaria ritiene che il divieto di patto commissorio debba essere interpretato secondo un criterio funzionale, così da essere un efficace strumento di tutela della par condicio creditorm e del debitore. In tale ottica, viene considerato violato il divieto di cui all’art. 2744 c.c. qualora si abbia un negozio in astratto lecito, ma utilizzato in concreto per conseguire un risultato vietato dall’ordinamento, quale la coercizione del debitore e la privazione o diminuzione della sua libertà decisionale. Il patto commissorio si potrà anche ravvisare nel caso in cui vengano posti in essere dei contratti collegati, qualora si ravvisi in essi uno scopo precipuo di garanzia, a prescindere dal tipo di contratto utilizzato e dal momento in cui il trasferimento della proprietà è destinato ad operare.

In tal senso, si veda tra le tante Cassazione, 13/4262.

Secondo una diversa impostazione, l’art. 2744 c.c. deve essere considerata norma eccezionale, da interpretarsi quindi in base ad un criterio strettamente formalistico e letterale. La norma in questione parla di “bene ipotecato o dato in pegno”; la costituzione di pegno o ipoteca sul bene del debitore è quindi un elemento necessario ai fini della sussistenza del patto commissorio. In base a tale orientamento, non vi sarà quindi violazione dell’art. 2744 c.c. qualora la finalità illegittima (la coartazione del debitore, la violazione della par condicio creditorum) venga perseguita attraverso altri strumenti negoziali, in assenza della costituzione di garanzie reali.

Questa concezione ha trovato sostegno nella giurisprudenza minoritaria; si porti ad esempio la Cassazione 10/5426.
Tornando alla problematica di Caio, in adesione alla tesi della giurisprudenza maggioritaria, sarebbe possibile concludere per la sussistenza di un patto commissorio.

Infatti, giova in primis porre l’accento sul fatto che i due contratti collegati, mutuo e procura a vendere, siano stati sottoscritti l’uno poco dopo l’altro, e che in entrambi i casi la controparte di Caio fosse Alfa. E’ inoltre da rilevare come il mutuo fosse stato stipulato proprio al fine di acquistare l’immobile Tuscolano, oggetto della procura a vendere. Di fatto, Caio conferiva ad Alfa procura a vendere al fine di vedersi concedere il mutuo, poiché qualora non avesse firmato la prima non avrebbe ottenuto dalla Banca il secondo. La volontà di Caio risulta quindi essere stata coartata dalla Banca.

Inoltre, vero è che con il divieto di patto commissorio si vuole impedire che un bene passi automaticamente nella disponibilità del creditore a seguito di un inadempimento, mentre nel caso di Caio la Banca non avrebbe conseguito la proprietà dell’immobile Tuscolo ma lo avrebbe venduto a terzi. Tuttavia, ciò non cambia la sostanza; infatti, all’inadempimento sarebbe comunque conseguito in automatico la perdita del bene da parte di Caio, e di fatto vi sarebbe stata una alterazione della parità di trattamento tra creditori.

Quindi, qualora si considerasse violato il divieto di cui all’art. 2744 c.c. per le motivazioni sopra esposte, la conseguenza sarebbe la nullità dei contratti posti in essere in violazione della norma, ossia la nullità tanto del contratto di mutuo quanto della procura a vendere.

Se invece si ritenesse di aderire alla giurisprudenza minoritaria, la conclusione sarebbe diametralmente opposta. Caio non costituiva alcun pegno od ipoteca sull’immobile Tuscolano. Per tale motivo, non vi sarebbe alcuna violazione del divieto di patto commissorio, ed i due contratti rimarrebbero pienamente validi e vincolanti.

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