L’esistenza di un inadempimento del preliminare di compravendita può essere valutata, in sede di merito, valorizzando sia il criterio quantitativo sia il criterio soggettivo che quello oggettivo, avuto riguardo all’importanza dell’inadempimento imputabile alla parte negligente.
Sentenza 8 gennaio 2014, n. 157
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SECONDA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. P.L. – Presidente –
Dott. M.E. – Consigliere –
Dott. P.S. – Consigliere –
Dott. O.A. – Consigliere –
Dott. C.A. – rel. Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
sentenza
sul ricorso (iscritto al N.R.G. 7258/08) proposto da:
T.S. (C.F.: (OMISSIS)), rappresentato e difeso, in virtù di procura speciale a margine del ricorso, dall’Avv. A.C. ed elettivamente domiciliato in R. alla v. P., presso lo studio dell’Avv. P.C.;
– ricorrente –
contro
E.C. S.R.L. – già I.L. s.p.a. (P.I.: (OMISSIS)), in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa, in forza di procura speciale in calce al controricorso, dall’Avv. V.G. ed elettivamente domiciliata presso il suo studio, in R., via S.;
– controricorrente –
Avverso la sentenza n. 2788 del 2007 della Corte di appello di Milano, depositata il 23 ottobre 2007 (e non notificata);
Udita la relazione della causa svolta nell’udienza pubblica del 12 dicembre 2013 dal Consigliere relatore Dott. A.C.;
udito l’Avv. C.a. per il ricorrente;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.ssa C.F., che ha concluso per la declaratoria di inammissibilità del ricorso e, in subordine, per il suo rigetto.
Svolgimento del processo
Con atto di citazione del 30 giugno 1981, il sig. T. S. conveniva in giudizio, dinanzi al Tribunale di Como, la I.L. s.p.a. (poi divenuta s.r.l. E.C.), chiedendo, oltre al risarcimento del danno ed alla convalida del sequestro ottenuto sui beni promessi in vendita, l’esecuzione in forma specifica – ai sensi dell’art. 2932 c.c. – del contratto preliminare, concluso in data 19 ottobre 1976, con il quale la predetta convenuta si era obbligata a vendergli alcuni immobili, ubicati in località (OMISSIS). Nella costituzione della indicata convenuta (che instava per la risoluzione del contratto preliminare per inadempimento dell’attore ovvero per l’accertamento del suo obbligo al pagamento del prezzo di vendita pattuito, oltre che – in via riconvenzionale – per il risarcimento dei danni ai sensi dell’art. 96 c.p.c.), il Tribunale adito, con sentenza del 21 febbraio 1995 rigettava tutte le domande. Interposto appello principale da parte del T. ed appello incidentale da parte della predetta società immobiliare, la Corte di appello di Milano, con sentenza del 7 novembre 2000, previa dichiarazione della sussistenza della legittimazione passiva della medesima appellante incidentale, respingeva il gravame principale ed accoglieva, per quanto di ragione, quello incidentale, dichiarando, di conseguenza, la risoluzione per inadempimento del T. del contratto preliminare intercorso tra le parti, rilevando l’inammissibilità delle altre domande proposte siccome nuove.
Il T. proponeva ricorso per cassazione avverso la summenzionata sentenza (riferito a tre motivi), al quale resisteva con controricorso l’I.L. Questa Corte, con sentenza n. 9462 del 2004 (depositata il 19 maggio 2004), accoglieva il secondo e terzo motivo di ricorso, rilevando che, con la sentenza impugnata, la Corte territoriale, nel definire le contrapposte domande di esecuzione in forma specifica e di risoluzione per inadempimento del contratto preliminare dedotto in controversia, non aveva sviluppato una motivazione adeguata, non avendo provveduto ad operare alcuna valutazione comparativa degli inadempimenti, anche unitaria, e soprattutto, per non aver fatto alcuna specifica valutazione dell’importanza dell’inadempimento accertato in capo al T., avuto riguardo all’incidenza sul sinallagma delle prestazione contrattuali e sull’interesse dell’altra parte, inteso con riferimento all’attitudine dell’inadempimento stesso a turbare l’equilibrio contrattuale ed a reagire sulla causa del contratto e sul comune intento negoziale. Pertanto, in accoglimento delle predette due censure e con assorbimento del primo motivo, con la suddetta sentenza si provvedeva alla cassazione della sentenza oggetto di ricorso e veniva disposto il rinvio della causa ad altra Sezione della stessa Corte di appello di Milano.
Procedutosi alla riassunzione del giudizio da parte del T. e nella costituzione della subentrata E.C. (che formulava appello incidentale per l’ottenimento della dichiarazione di risoluzione del contratto preliminare per inadempimento dell’altra parte), la Corte di rinvio, con sentenza n. 2788 del 2007 (depositata il 23 ottobre 2007), rigettava l’appello principale ed accoglieva, invece, quello incidentale e, per l’effetto, in parziale riforma della sentenza di primo grado, dichiarava risolto il contratto preliminare in questione, condannando il T. alla rifusione delle spese della varie fasi del giudizio.
A sostegno della decisione adottata, il giudice di rinvio rilevava che le censure dedotte da parte dell’appellante principale erano da considerarsi prive di fondamento in quanto smentite sia dal tenore letterale del contratto preliminare in discorso che dalle risultanze della c.t.u. espletata nel primo grado di giudizio, dalle quali era emerso che il T. – sul quale incombeva il relativo onere – non aveva dimostrato di aver pagato l’intero prezzo pattuito nel termine convenuto, di aver corrisposto gli interessi previsti nel preliminare e di aver rimborsato alla promittente venditrice le spese indicate alla clausola 12 conseguenti al trasferimento, a favore dello stesso T., della materiale disponibilità dei beni;
inoltre, dalla relazione del c.t.u. era stato possibile evincere il suo inadempimento nell’esecuzione del contratto congiuntamente all’omesso rispetto del termine previsto, le cui circostanze rivestivano una particolare importanza ai sensi dell’art. 1455 c.c., donde la conseguente declaratoria di risoluzione contrattuale per responsabilità ascrivibile allo stesso T.. Quest’ultimo formulava ricorso per cassazione anche avverso la richiamata sentenza (non notificata) adottata in sede di rinvio, basandolo su quattro motivi, in ordine al quale la E.C. resisteva con controricorso.
Motivi della decisione
1. Con il primo motivo il ricorrente ha denunciato – ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5, – il vizio di omessa od insufficiente motivazione circa il punto decisivo della controversia riguardante la dichiarata risoluzione del contratto preliminare per fatto e colpa allo stesso addebitabili.
2. Con il secondo motivo il ricorrente ha dedotto un ulteriore vizio di omessa od insufficiente motivazione circa il medesimo fatto decisivo della causa prospettato con la prima censura, nonchè – ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3 – la supposta violazione dell’art. 2697 c.c. e dell’art. 116 c.p.c. formulando, al riguardo, in virtù dell’art. 366 bis c.p.c. (applicabile “ratione temporis”, risultando la sentenza impugnata pubblicata il 23 ottobre 2007), il seguente quesito di diritto: “dica la S.C. se, a fronte di un fatto che non ha costituito oggetto di contestazione della parte, l’altra parte debba comunque comprovare in causa che il medesimo fatto non sia a sè imputabile e se, a fronte di un fatto che non ha costituito oggetto di contestazione della parte, il giudice, nel ritenere il medesimo fatto addebitarle all’altra parte, abbia o meno valutato prudentemente le risultanze processuali.
3. Con il terzo motivo il ricorrente ha censurato la sentenza impugnata ancora sotto il profilo dell’omessa o, comunque, inadeguata motivazione circa l’imputazione dell’inadempimento a suo carico ai fini della dichiarata risoluzione contrattuale oltre che – ai sensi dell’art. 366 bis c.p.c. – la violazione degli artt. 1553 e 1455 c.c., prospettando, a quest’ultimo proposito, il seguente quesito di diritto: “dica la S.C. se (il giudice di merito), a fronte di una obbligazione a carico della parte, possa dichiarare la risoluzione del contratto laddove il parziale adempimento sia caratterizzato dalla scarsa importanza e se il giudice del merito abbia o meno l’obbligo di indicare in modo specifico e preciso sia l’entità della prestazione che si sostiene ineseguita sia l’interesse dell’altro contraente in ordine alla medesima prestazione che si sostiene ineseguita”.
4. Con il quarto ed ultimo motivo il ricorrente ha denunciato il vizio di omessa od insufficiente motivazione circa il punto decisivo della controversia relativa alla mancata offerta – da parte di esso ricorrente – della propria prestazione, nonchè – ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3 – la supposta violazione dell’art. 2932 c.c. rilevando – quanto alla dedotta carenza motivazionale – che la Corte di appello aveva totalmente omesso di considerare che, necessitando l’accollo di mutuo anche della cooperazione da parte del mutuante, l’accollo stesso, a prescindere dalle convenzioni contrattuali, poteva essere regolato solo in sede di stipula dell’atto notarile di compravendita. Con riferimento alla predetta violazione di legge il ricorrente ha indicato il seguente quesito di diritto: ” dica la S.C. se, a fronte di una prestazione da eseguire necessariamente in sede di stipula dell’atto notarile di trasferimento della proprietà – quale è quella relativa all’accollo di mutuo gravante il bene immobile oggetto di compravendita -, sia o meno necessaria, ai fini della emissione di sentenza ex art. 2932 c.c., l’offerta di esecuzione della prestazione anzidetta”.
5. Rileva, innanzitutto, il collegio che i proposti motivi del ricorso sono soggetti all’osservanza del requisito di ammissibilità previsto dall’art. 366 bis c.p.c. (introdotto dal D.Lgs. n. 40 del 2006 e “ratione temporis” applicabile nella fattispecie ai sensi della L. n. 69 del 2009, art. 58, comma 5, vertendosi – come già evidenziato – nell’ipotesi di ricorso formulato avverso sentenza ricadente nell’ambito di applicabilità dell’indicato D.Lgs., siccome pubblicata il 23 ottobre 2007: cfr. Cass. n. 26364/2009 e Cass. n. 6212/2010).
A tal proposito si osserva (cfr., ad es., Cass. n. 4556/2009), sul piano generale, che l’art. 366-bis c.p.c., nel prescrivere le modalità di formulazione dei motivi del ricorso in cassazione, comporta, ai fini della declaratoria di inammissibilità del ricorso medesimo, una diversa valutazione da parte del giudice di legittimità a seconda che si sia in presenza dei motivi previsti dall’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 1, 2, 3 e 4, ovvero del motivo previsto dal n. 5 della stessa disposizione. Nel primo caso ciascuna censura deve, all’esito della sua illustrazione, tradursi in un quesito di diritto, la cui enunciazione (e formalità espressiva) va funzionalizzata, come attestato dall’art. 384 c.p.c., all’enunciazione del principio di diritto ovvero a “dicta” giurisprudenziali su questioni di diritto di particolare importanza, mentre, ove venga in rilievo il motivo di cui all’art. 360 c.p.c., n. 5 (il cui oggetto riguarda il solo “iter” argomentativo della decisione impugnata), è richiesta una illustrazione che, pur libera da rigidità formali, si deve concretizzare in una esposizione chiara e sintetica del fatto controverso – in relazione al quale la motivazione si assume omessa o contraddittoria – ovvero delle ragioni per le quali la dedotta insufficienza rende inidonea la motivazione a giustificare la decisione. Ciò posto, va rilevato che, in ordine alla prima censura prospettata, manca una idonea indicazione del fatto controverso e difetta anche un’autonoma ed appropriata sintesi della supposta insufficienza motivazionale, non potendo certamente ritenersi conferente ai fini dell’assolvimento del suddetto requisito imposto dal citato art. 366 bis c.p.c. l’aver riportato, in calce allo svolgimento del motivo, la seguente frase: “il non avere la Corte di appello correttamente affrontato tali problematiche ed il non averle confutate in un modo o nell’altro, concretizza una omessa motivazione, ovvero una sua evidente insufficienza, qui denunciata ai fini dell’art. 360 c.p.c., n. 5”, senza riprodurre il benchè minimo accenno al nucleo delle questioni assunte come non esaminate e alle ritenute deficienze del percorso logico adottato dalla Corte territoriale.
Quanto al secondo motivo proposto nei richiamati termini occorre evidenziare che – sempre in ordine al rispetto del disposto di cui all’art. 366 bis c.p.c. – manca ogni idoneo riferimento al prospettato vizio di motivazione ed il quesito di diritto relativo alla violazione di legge risulta del tutto generico, siccome sganciato dalla concreta fattispecie. In relazione alla terza censura prospettata nei sensi precedentemente riportati, vale – in rapporto alla necessaria osservanza del requisito di ammissibilità stabilito dall’art. 366 bis c.p.c. – la stessa considerazione operata con riguardo al secondo motivo in termini di genericità del quesito di diritto formulato e della carente esposizione del fatto controverso e della sintesi del vizio logico dedotto.
In ogni caso, al di là degli indicati profili di inammissibilità delle prime tre censure proposte (tra loro strettamente connesse ed esaminabili, perciò, congiuntamente), il collegio rileva che la sentenza impugnata si è idoneamente conformata a quanto stabilito con la sentenza di rinvio della Cassazione (n. 9462 del 2004), indicando con precisione e con univoco collegamento con le risultanze processuali acquisite, i criteri fondamentali per la dichiarazione dell’inadempimento in capo al T..
Del resto, la Corte di merito ha adeguatamente evidenziato – conformandosi alla consolidata giurisprudenza di questa Corte di legittimità (cfr. Cass., S.U., n. 13533 del 2001; Cass. n. 20073 del 2004; Cass. n. 9351 del 2007 e Cass. n. 3373 del 2010) – che la società E.C. aveva sufficientemente provato il titolo su cui aveva fondato il suo diritto all’ottenimento della domanda ex art. 2932 c.c. in uno al termine di scadenza, allegando l’inadempimento della controparte, senza che quest’ultima avesse provato – pur essendo, in proposito, onerata – un eventuale fatto estintivo o modificativo dell’altrui pretesa. Con riferimento specifico alla terza censura la Corte di appello ha motivato puntualmente sulla individuazione dei parametri di valutazione per ritenere l’inadempimento del T., valorizzando sia il criterio quantitativo (ponendo riferimento allo sbilanciamento nei termini contrattualmente previsti delle forniture in controprezzo, al mancato accollo del mutuo, all’omesso pagamento degli interessi sulla dilazione ottenuta, alla previsione contrattuale dell’impossibilità di rivalutazione del prezzo di vendita degli immobili oggetto del preliminare in considerazione del periodo di aumento dei prezzi di mercato, come accertato dal c.t.u., e al mancato pagamento, da parte del T., degli oneri accessori di cui alla clausola 12) sia il criterio soggettivo (alla stregua dell’interesse del promittente venditore, impresario edile, all’esatta e tempestiva esecuzione della prestazione) che quello oggettivo, avuto riguardo all’importanza dell’inadempimento imputabile al T..
6. Anche il quarto motivo (peraltro pur esso assistito da un quesito di diritto essenzialmente generico e difettante di una conferente sintesi della supposta inadeguatezza del percorso motivazionale adottato dalla Corte territoriale) è destituito di fondamento dal momento che la Corte di rinvio ha adeguatamente motivato il suo convincimento rilevando che l’accollo del mutuo sarebbe dovuto avvenire – come previsto dalla clausola n. 8 del contratto preliminare – prima della stipulazione dell’atto notarile di compravendita e non già contestualmente ad esso, come sostenuto dal T.. Del resto la ratio di questa previsione supporta logicamente la ricostruzione del rapporto nei sensi delineati dalla stessa Corte milanese, rilevandosi che, in effetti, trattavasi dell’unica quota di prezzo da corrispondere in danaro per la quale la promittente venditrice aveva rinunciato alla disponibilità del bene a fronte di un immediato incasso.
Oltretutto, lo stesso giudice di rinvio ha adeguatamente accertato che, quand’anche fosse – in ipotesi – risultato dimostrato il presupposto che il T. aveva interamente corrisposto il presso di acquisto fissato nel preliminare, in nessuna delle conclusioni precisate nei vari gradi del giudizio, e malgrado ritenesse che la prestazione fosse già esigibile all’atto della proposizione della domanda giudiziale, aveva mai invocato, neppure in linea subordinata, l’emanazione di una sentenza costitutiva condizionata ad un qualsivoglia residuo pagamento (ivi compreso l’accollo del mutuo).
7. In definitiva, alla stregua delle complessive ragioni esposte, il ricorso deve essere integralmente respinto, con conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio, che si liquidano nei sensi di cui in dispositivo sulla scorta dei nuovi parametri previsti per il giudizio di legittimità dal D.M. Giustizia 20 luglio 2012, n. 140 (applicabile nel caso di specie in virtù dell’art. 41 dello stesso D.M.: cfr. Cass., S.U., n. 17405 del 2012).
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità, liquidate in complessivi Euro 4.200,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre accessori nella misura e sulle voci come per legge.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Seconda Civile, il 12 dicembre 2013.
Depositato in Cancelleria il 8 gennaio 2014
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