Licenziamento della lavoratrice in gravidanza durante il periodo di prova: cosa prevede la legge?


Il licenziamento di una lavoratrice in gravidanza è, in linea generale, vietato dall’ordinamento italiano. Tuttavia, ci si chiede spesso se tale tutela valga anche durante il periodo di prova, quando il rapporto di lavoro può essere interrotto da entrambe le parti senza obbligo di motivazione.

Vediamo cosa prevede la normativa e come si è espressa la giurisprudenza in merito.

La tutela della lavoratrice madre

L’articolo 54 del D.lgs. 151/2001 (Testo Unico sulla maternità e paternità) stabilisce il divieto di licenziamento della lavoratrice dalla data di inizio della gravidanza fino al compimento di un anno di età del bambino. La norma ha una chiara finalità protettiva, volta a garantire la continuità del reddito e la stabilità lavorativa in un periodo particolarmente delicato.

Tuttavia, lo stesso articolo fa espressamente salvo il caso del recesso durante il periodo di prova, qualora l’esito della prova sia negativo.

Il periodo di prova: un’eccezione al divieto di licenziamento?

Durante il periodo di prova, il datore di lavoro può recedere dal contratto senza necessità di fornire una motivazione, a meno che ciò non sia diversamente previsto nel contratto individuale o nella contrattazione collettiva applicata. Tuttavia, la libertà di recesso non è assoluta: il licenziamento non può essere discriminatorio.

La Corte di Cassazione ha chiarito che il datore di lavoro può legittimamente recedere anche nei confronti di una lavoratrice in gravidanza, ma a condizione che l’interruzione del rapporto sia effettivamente dovuta all’esito negativo della prova e non collegata allo stato interessante della lavoratrice. In caso contrario, il licenziamento sarà nullo per violazione del divieto di discriminazione di cui all’art. 4 del D.lgs. 198/2006 (Codice delle Pari Opportunità).

L’onere della prova e la motivazione del recesso

Se la lavoratrice impugna il licenziamento sospettando una motivazione discriminatoria, spetta al datore di lavoro dimostrare che il recesso è avvenuto per ragioni oggettive legate all’idoneità o alle capacità professionali della dipendente.

In mancanza di tale prova – o qualora il datore non riesca a giustificare in modo concreto l’insufficienza della prova lavorativa – il licenziamento potrebbe essere dichiarato nullo e comportare la reintegrazione della lavoratrice e il risarcimento del danno.

Il patto di prova deve essere formalmente valido

Perché il recesso durante il periodo di prova sia legittimo, è inoltre necessario che il patto di prova sia formalizzato per iscritto e indichi in modo chiaro le mansioni oggetto della prova. In difetto, il periodo di prova è nullo e il rapporto di lavoro si considera a tempo indeterminato fin dall’inizio, con conseguente applicazione piena delle tutele contro il licenziamento.

Conclusioni

Il licenziamento di una lavoratrice in gravidanza durante il periodo di prova non è automaticamente illecito, ma è consentito solo se effettivamente giustificato dall’esito negativo della prova e non motivato dallo stato di gravidanza.

È quindi fondamentale, per i datori di lavoro, gestire con attenzione e trasparenza il periodo di prova e motivare eventuali recessi in modo non equivoco, soprattutto nei casi che coinvolgono lavoratrici in maternità.

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