Con il termine “Mobbing” si indicano una serie di comportamenti aggressivi e persecutori ( vessatori) che vengono posti in essere sul luogo di lavoro ed aventi la finalità di emarginare la vittima.
Sebbene manchi una normativa specifica in tema, il mobbing è stato oggetto di una copiosa opera giurisprudenziale dal quale è stato definito.
Da ultima, la Cass. civ. sez. lav., 7.6.2024, n. 15975 definisce che “Il mobbing lavorativo è configurabile quando vi sia un elemento obiettivo, costituito da una pluralità continuata di comportamenti pregiudizievoli interni al rapporto di lavoro, e un elemento soggettivo dell’intendimento persecutorio nei confronti della vittima”.
Quali comportamenti integrano mobbing?
La Corte di Cassazione, sez. lavoro, con la sentenza n. 22993/2012 ha definito quali sono i comportamenti che integrano il mobbing ossia:
- Condotta del datore di lavoro o del superiore gerarchico (mobbing verticale) o da parte dei colleghi (mobbing orizzontale);
- Dev’essere sistematica e protratta nel tempo;
- Tenuta nell’ambiente di lavoro;
- Prevaricazione o di persecuzione psicologica scaturente da sistematici e reiterati comportamenti ostili;
- Da tali comportamenti può conseguire la mortificazione morale e l’emarginazione del dipendente, con effetto lesivo del suo equilibrio fisiopsichico e del complesso della sua personalità.
Comportamenti più frequenti
- Rimproveri e/o richiami costanti (anche ingiustificati), in privato o in pubblico;
- Isolamento ed esclusione da riunioni, corsi di aggiornamento, attività, comunicazioni aziendali;
- Umiliazioni, battute, insulti, diffamazione e calunnia;
- Demansionamenti e dequalificazioni;
- Inattività per mancata assegnazione di compiti;
- Controllo sul lavoratore;
- Negazione ingiustificata di permessi, ferie o benefici aziendali;
- Minacce di licenziamento o di perdita di opportunità lavorative.
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