La procreazione medicalmente assistita (PMA), c.d. “fecondazione artificiale”, è l’insieme delle tecniche utilizzate per aiutare il concepimento in tutte le coppie, nei casi in cui il concepimento spontaneo è impossibile, difficoltoso e nei casi di inadeguatezza circa il ricorso a tecniche chirurgiche o farmacologiche.
Le linee guida sulla PMA, previste dalla legge 40/2004, indicano l’utilizzo in primis delle opzioni terapeutiche più semplici e meno invasive.
Dal 2014 la Corte Costituzionale ha fatto decadere il divieto di fecondazione eterologa nel nostro Paese (cioè la fecondazione in cui uno o entrambi i gameti provengono da un donatore esterno alla coppia) e pertanto le tecniche che oggi possono essere utilizzate sono sia omologhe che eterologhe.
Le tecniche
- PMA omologa: i gameti (ovocita o spermatozoi) appartengono ai componenti della coppia dei futuri genitori sociali;
- PMA eterologa: i gameti provengono da soggetti donatori o donatrici, ossia soggetti terzi.
Attribuzione dello stato di figlio
La PMA omologa non pone particolari problemi rispetto all’attribuzione dello stato di figlio, fatta salva l’ipotesi in cui la procreazione avvenga successivamente alla morte del genitore genetico grazie alla crioconservazione degli spermatozoi o degli embrioni formati con i suoi gameti.
La PMA eterologa crea, per contro, una potenziale divaricazione tra i genitori intenzionali, coloro che hanno accettato di ricorrere alle tecniche mediche, e i genitori biologici.
Nel caso della madre si pone la possibile questione relativa alla divaricazione tra la madre genetica e la madre gestante.
La legge n. 40/2004
Al centro di tale legge veniva previsto il divieto di ricorrere alle tecniche di fecondazione eterologa, tuttavia la stessa legge si preoccupa di risolvere i principali problemi nascenti dalla medesima.
Il legilslatore era, pertanto, ben consapevole di non poter debellare il fenomeno della PMA eterologa realizzata in Italia violando il divieto previsto dalla legge oppure all’estero grazie al c.d. turismo procreativo.
Questo divieto è scomparso grazie all’opera della Corte Costituzionale (Corte cost. n. 162/2014) la quale lo ha giudicato lesivo della libertà di autodeterminazione degli aspiranti genitori ma lesivo, inoltre, anche del loro diritto alla salute (ricomprendendo, quindi, anche la salute psichica).
Chi può accedere alla PMA?
- Coppie maggiorenni di sesso diverso;
- Coniugate o conviventi;
- In età fertile;
- Entrambi viventi;
Il divieto di accesso alla tecnica della PMA per le coppie omosessuali femminili è stato giudicato legittimo dalla Corte costituzionale (Corte cost. n. 221/2019).
Maternità surrogata
Si tratta di una gravidanza che viene portata da una donna diversa da quella destinata intenzionalmente ad essere la madre sociale. In Italia è vietata.
Consenso delle parti per l’accesso alla PMA
Il consenso delle parti per accedere alle tecniche in oggetto è necessario e dev’essere preceduto da una dettagliata informazione.
Non è possibile revocare il consenso una volta che gli embrioni formati siano in vitro, ciò posto a tutela della loro aspettativa di vita anche se sono mutate le circostanze nelle quali il progetto procreativo comune era stato formato.
Se la donna non consente al trasferimento dell’embrione nel proprio apparato genitale non è possibile – né tantomeno lecito – costringerla.
L’inammissibilità del trasferimento forzato porta, in vero, con se una disparità di trattamento tra uomo e donna.
- La donna, infatti, può ottenere lo stesso risultato che deriverebbe dalla revoca del suo consenso;
- L’uomo resta, per contro, vincolato al consenso definitivo originariamente prestato.
Ciò è stato confermato anche da una recente sentenza della Corte costituzionale, la n. 161/2023 che ha giudicato “non irragionevole il bilanciamento operato dal legislatore nel censurato articolo 6, comma 3, ultimo periodo, della legge n. 40 del 2004“.
La donna che partorisce per il tramite del ricorso alla PMA non ha la facoltà di rimanere anonima. Inoltre, la legge in esame stabilisce che non sono ammessi né disconoscimento né l’impugnazione del riconoscimento per difetto di veridicità, se richiesti dal padre.
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