La legittimità della liquidazione separata del danno morale

Come noto, le Sezioni Unite della Corte di Cassazione (n. 26972/2008) si sono espresse sulla risarcibilità del danno morale ex art. 2059 cod. civ. stabilendo il principio – recepito anche dalle tabelle di riferimento del Tribunale di Milano che nei valori monetari – per cui il danno non patrimoniale è risarcibile nei soli casi previsti dalla legge, i quali si dividono in due gruppi: le ipotesi in cui la risarcibilità è prevista in modo espresso (fatto illecito integrante reato) e quello in cui la risarcibilità, pur non essendo prevista da norma di legge ad hoc, deve ammettersi sulla base di una interpretazione costituzionalmente orientata dell’art. 2059 cod. civ., per avere il fatto illecito vulnerato in modo grave un diritto della persona direttamente tutelato dalla legge. Nella medesima sentenza è stato aggiunto che il danno non patrimoniale costituisce una categoria ampia ed onnicomprensiva, all’interno della quale non è possibile ritagliare ulteriori sottocategorie. Pertanto, il c.d. danno esistenziale, inteso quale “il pregiudizio alle attività non remunerative della persona” causato dal fatto illecito lesivo di un diritto costituzionalmente garantito, costituisce solo un ordinario danno non patrimoniale, che non può essere liquidato separatamente sol perché diversamente denominato.

Tuttavia, la recente ordinanza 8755/2019 della Terza sezione della Cassazione, in linea con la sentenza 901/2018 e l’ordinanza 7513/19 (nota come decalogo della Cassazione sulla liquidazione del danno non patrimoniale) ha creato disparità di trattamento rispetto alle pronunce che seguono i principi enunciati nel 2008, sopra decritti, ribadendo un orientamento in contrasto con quello delle Sezioni Unite.

L’orientamento recente, infatti, afferma che “non costituisce duplicazione risarcitoria la congiunta attribuzione di una somma a titolo di danno biologico e di una ulteriore somma per i pregiudizi che non hanno fondamento medico-legale rappresentati dalla sofferenza morale interiore che si colloca nella dimensione dl rapporto del soggetto con sé stesso”.

È stato evidenziato dalla Terza sezione che “il danno morale non deve intendersi come categoria autonoma ma come figura descrittiva di un aspetto del danno non patrimoniale” e richiamando la Corte costituzionale (sentenza 235/2014) e le modifiche apportate dagli artt. 138 e 139 Codice delle Assicurazioni dalla Legge sulla concorrenza (124/2017) afferma che occorre distinguere il danno dinamico relazionale da quello morale e valutare / liquidare speratamene questi due aspetti.

In buona sostanza, oggi, nella giurisprudenza, sia di merito che di legittima, convivono due orientamenti: un primo che ritiene la sofferenza interiore quale conseguenza alla lesione della salute valutabile unitariamente al danno biologico, e un altro che muove invece dal presupposto che la sofferenza interiore sia una componente del danno non patrimoniale autonoma rispetto al danno biologico.

Allo stato, per gli utenti del diritto sarebbe auspicabile che le Sezioni Unite si pronuncino nuovamente e decidano quale delle due posizioni, oggi sostenute, sia quella applicabile.  

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