Assegnazione della casa familiare: esclusività alla tutela della prole

Come noto, nelle vertenze in materia di separazione personale dei coniugi e/o scioglimento / cessazione degli effetti civili del matrimonio (divorzio), l’assegnazione della casa familiare – il cui aspetto economico si rinviene esplicitamente nella legge 1° dicembre 1970, n. 898, art. 6, comma 6 – è finalizzata all’esclusiva tutela della prole e, in particolare, all’interesse dei figli a permanere nell’habitat domestico in cui sono cresciuti.

Lo ha ribadito la Suprema corte di Cassazione, sez. VI-1, con la sentenza del 4 ottobre 2018, n. 24254.

Con riguardo alla domanda di assegnazione della casa coniugale, la Corte d’appello aveva osservato come l’art. 6, comma 6, della legge sul divorzio prevedesse l’assegnazione al genitore cui vengono affidati i figli o con il quale i figli convivono, oltre la maggiore età.

Nel caso all’esame della corte territoriale vi era la corretta decisione del Giudice di prime cure il quale aveva osservato come risulti irrilevante l’accordo concluso tra i coniugi, con il quale il marito rinuncia a pretendere la casa in uso in suo favore, restando la disponibilità della casa sottoposta alle norme ordinarie.

A fronte di ricorso, la Suprema Corte ne ha disposto il rigetto osservando che, sulla base della consolidata giurisprudenza di legittimità, in materia di separazione o divorzio, l’assegnazione della casa familiare deve seguire un solo criterio, ovvero l’interesse della prole ad abitare e rimanere nell’ambiente domestico in cui è cresciuta: e ciò anche nel caso in cui l’immobile sia di proprietà comune dei coniugi, la concessione del beneficio in questione resta subordinata all’imprescindibile presupposto dell’affidamento dei figli minori o della convivenza con figli maggiorenni, ma economicamente non autosufficienti.

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