È recente la pronuncia del Tribunale di Milano (Trib. Milano, sez. Impresa, n. 2045 del 20.02.2017) intervenuta in merito ad una controversia insorta tra due soci di una società farmaceutica, in seguito al ricorso formulato da uno di essi al fine di accertare l’impossibilità per la società stessa di raggiungere l’oggetto sociale e conseguentemente dichiarare lo scioglimento della società.
Il resistente si costituiva eccependo l’incompetenza del Tribunale adito, stante l’esistenza di una clausola compromissoria all’interno del contratto sociale, con la quale si stabiliva che in caso di insorgenza di controversie relative circa l’interpretazione l’esecuzione o le sorti del suddetto contratto, le stesse dovessero essere devolute ad un arbitro.
L’art. 34 del D.Lgs 5/03 (al pari di quanto previsto all’art. 806, comma 1, c.p.c.), stabilisce che possono essere devolute ad arbitri unicamente le liti avente ad oggetto diritti disponibili (Cass. Ord. n. 21422/2016).
Pertanto, qualora la controversia riguardi diritti indisponibili, ossia diritti che non soddisfino unicamente l’interesse del titolare, ma che abbiano anche una rilevanza pubblica, dovranno essere risolti di fronte al Tribunale.
Il Tribunale di Milano, nel caso in esame, ha fatto proprio l’indirizzo giurisprudenziale maggioritario sostenendo come “le cause di scioglimento di una società, non riguardino solo gli interessi dei soci, di per sé disponibili, ma piuttosto l’interesse al mantenimento in vita della società, riferibile anche ai terzi e pertanto indisponibile” e che pertanto le stesse non possano essere decise con un procedimento arbitrale
Tale principio può trovare applicazione anche per la società di persone, la quale costituisce, sia sotto l’aspetto sostanziale che procedurale, un centro autonomo di rapporti intersoggettivi diversi e distinti da quelli facenti capo al singolo socio.
Lascia un commento