Nomina degli arbitri da parte della società

È nulla, per violazione dell’art. 34 D.Lgs. 5/03, la clausola statutaria che non preveda che la nomina degli arbitri debba essere effettuata da un soggetto estraneo alla società, anche nell’ipotesi si tratti di arbitrato irrituale.

La Corte di Cassazione, con la sent. n. 15841/15, ha ribadito l’orientamento recentemente in auge, secondo il quale il c.d. doppio binario previsto dall’art. 41 della predetta norma è intesa a fare salvi gli eventuali giudizi arbitrali, in corso alla data di entrata in vigore della normativa, ma non già gli effetti della clausola arbitrale preesistente, che costituisce negozio e non già atto processuale.

Di seguito il testo della sentenza:

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA CIVILE

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 28826/2011 proposto da:

P.M.E. 

– ricorrente –

contro

P.W., + ALTRI

– controricorrenti –

contro

M.L., + ALTRI OMESSI ;
– intimati –

avverso la sentenza n. 645/2011 della CORTE D’APPELLO di L’AQUILA, depositata il 15/07/2011;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 28/05/2015 dal Consigliere Dott. LN

udito, per la ricorrente, l’Avvocato PIETRO RICCIO che ha chiesto l’accoglimento del ricorso;

udito, per i controricorrenti P.D. + ALTRI, l’Avvocato  PDV che ha chiesto l’inammissibilità o il rigetto del ricorso;

udito, per i controricorrenti P.W. + ALTRI, l’Avvocato MB che ha chiesto il rigetto del ricorso;

udito il P.M., 

Svolgimento del processo

La Corte d’appello dell’Aquila con sentenza del 15 luglio 2011 ha confermato la decisione del Tribunale di Pescara, il quale aveva dichiarato inammissibile l’azione promossa da P.M.E., già socia della G.P., società titolare dell’azienda TM in Pescara, volta alla declaratoria di nullità o all’annullamento del lodo arbitrale irrituale del 6 dicembre 2004 – che, a fronte della impugnazione della deliberazione della sua esclusione dalla società, aveva semplicemente dichiarato sciolto il rapporto sociale che la riguardava – ed all’accertamento della nullità od all’annullamento della deliberazione societaria di esclusione ai sensi dell’art. 2287 c.c..

La corte territoriale ha ritenuto che: a) il D.Lgs. n. 5 del 2003, art. 34, consente il regime del c.d. doppio binario, onde restano valide anche le clausole compromissorie contenute negli statuti preesistenti alla riforma, sebbene non adeguati alla prescrizione della nomina esclusivamente da parte di soggetto esterno alla società, divenendo irrilevante se la relativa eccezione fosse stata sollevata dall’impugnante tempestivamente; b) è inammissibile la censura relativa alla violazione dei limiti del giudizio equitativo – si deduca l’indebita decisione secondo equità in difetto di autorizzazione delle parti o la violazione dei principi informatori della materia – che possono essere formulati unicamente nei confronti del lodo arbitrale rituale, in quanto il giudizio di equità ha carattere meramente correttivo o integrativo, e non già sostitutivo e formativo, solo nell’arbitrato rituale, ma non in quello irrituale, che ha l’efficacia tipica del negozio giuridico.

Propone ricorso la soccombente, sulla base di quattro motivi, depositando pure la memoria ex art. 378 c.p.c..

Resistono con due distinti controricorsi gli intimati.

Motivi della decisione

1. – Con il primo motivo, la ricorrente deduce la insufficiente e contraddittoria motivazione, per non avere la corte del merito rilevato la nullità del lodo arbitrale irrituale, posto che gli arbitri avevano deciso secondo il loro mero arbitrio, e non secondo diritto nè secondo equità, in ispregio dell’art. 2286 c.c., non essendo prevista dalla norma, nè dallo statuto sociale, la causa di esclusione del socio consistente nel dissidio con gli altri soci.

Con il secondo motivo, deduce la violazione dell’art. 13 st., artt. 1322, 1362, 1418 e 2286 c.c., art. 822 c.p.c., perchè lo statuto prevedeva una decisione arbitrale secondo diritto, non secondo equità, ed avendo gli arbitri violato il principio dell’autonomia negoziale delle parti.

Con il terzo motivo, censura la violazione degli artt. 1349 e 2286 c.c., artt. 2 e 3 Cost., artt. 6, 8, 11, e 13 CEDU, in quanto gli arbitri avevano deciso senza il rispetto dei principi regolatori della materia, desumibili dall’art. 2286 c.c., mentre il lodo arbitrale irrituale è impugnabile per manifesta iniquità in applicazione dell’art. 1349 c.c..

Con il quarto motivo, deduce la violazione degli art. 1418 e 1421 c.c., D.Lgs. n. 5 del 2003, art. 1, comma 4, artt. 34 e 35, art. 41, comma 1, per essere divenuta nulla la clausola compromissoria di cui all’art. 13 dello statuto societario, non adeguata alle nuove prescrizioni in tema di arbitrato societario, in particolare quanto alla nomina dell’arbitro da parte di soggetto estraneo alla società:

onde il giudice ordinario non avrebbe potuto pronunciare in sede rescissoria sul merito della causa.

2. – Il quarto motivo, da esaminare per primo per ragioni di priorità logico-giuridica, è fondato.

Va premesso che, contrariamente a quanto hanno dedotto i controricorrenti, il motivo non rileva solo ai fini dell’ipotetico giudizio rescissorio che potrebbe aprirsi solo qualora il lodo fosse dichiarato nullo o annullato per le ragioni dalla ricorrente addotte nei motivi precedenti: giacchè, viceversa, la questione posta con questo motivo, se fondata, travolgerebbe necessariamente di per sè il lodo, e quindi ha rilievo già ai fini della fase rescindente del giudizio.

Orbene, la clausola compromissoria contenuta nello statuto della G.P. è nulla, perchè non conforme alla previsione del D.Lgs. 5 del 2003, art. 34.

La corte d’appello ha disatteso l’eccezione in esame aderendo alla tesi del c.d. doppio binario in tema di arbitrato societario: ma tale conclusione non può essere condivisa alla stregua del più recente orientamento di legittimità, secondo cui la clausola compromissoria contenuta nello statuto societario, la quale non preveda che la nomina degli arbitri debba essere effettuata da un soggetto estraneo alla società, è nulla anche ove si tratti di arbitrato irrituale, ed è affetta, sin dalla data di entrata in vigore del citato D.Lgs. n. 5 del 2003, da nullità sopravvenuta rilevabile d’ufficio (Cass. 17 febbraio 2014, n. 3665; v. pure ord., 10 ottobre 2012, n. 17287).

Inoltre, la circostanza che la citata normativa non fosse ancora entrata in vigore quando il procedimento arbitrale ha preso avvio non vale ad elidere tali principi. E’ vero che la disposizione transitoria del D.Lgs. n. 5 del 2003, art. 41, rende inapplicabile la medesima normativa ai “giudizi pendenti”: ma, nella specie, trattandosi di arbitrato irrituale, non si tratta di tale fattispecie, bensì del compimento di un’attività negoziale che, al momento in cui il lodo fu pronunciato nel mese di dicembre 2004, risultava ormai già inficiata dalla sopravvenuta nullità della clausola che ne era a fondamento.

Invero, la norma del D.Lgs. n. 5 del 2003, art. 41, per come formulata nello specifico riferimento ai “giudizi pendenti”, è intesa a fare salvi gli eventuali giudizi arbitrali, così qualificabili, in corso alla data di entrata in vigore della normativa, ma non già gli effetti della clausola arbitrale preesistente, che costituisce negozio e non già atto processuale (cfr. Cass. 17 febbraio 2014, n. 3665).

Quanto alla questione, reputata irrilevante dalla sentenza impugnata ma che torna allora ad emergere, secondo cui l’eccezione di nullità in discorso sarebbe stata sollevata tardivamente, deve ancora osservarsi come, trattandosi di nullità rilevabile anche d’ufficio, la tardività dell’eccezione non avrebbe conseguenze, alla luce dei principi di recente affermati dalle Sezioni unite (Cass., sez. un., 12 dicembre 2014, n. 26242), le quali hanno statuito come il giudice innanzi al quale sia stata proposta domanda di nullità contrattuale deve comunque rilevare di ufficio l’esistenza di una causa di quest’ultima diversa da quella allegata dall’istante, essendo la domanda pertinente ad un diritto autodeterminato, sicchè è individuata indipendentemente dallo specifico vizio dedotto in giudizio; inoltre, nel giudizio di appello ed in quello di cassazione, il giudice, in caso di mancata rilevazione officiosa, in primo grado, di una nullità contrattuale, ha sempre facoltà di procedere ad un siffatto rilievo; mentre, laddove sia stata a domanda di nullità contrattuale, il giudice deve rilevare di ufficio l’esistenza di una causa di quest’ultima diversa da quella allegata dall’istante, essendo quella domanda pertinente ad un diritto autodeterminato, sicchè è individuata indipendentemente dallo specifico vizio dedotto in giudizio. Ha aggiunto la citata sentenza che la “rilevazione” ex officio delle nullità negoziali (anche diverse da quelle allegato dalla parte) è sempre obbligatoria, purchè la pretesa azionata non venga rigettata in base ad una individuata “ragione più liquida”.

3. – I primi tre motivi restano di conseguenza assorbiti.

4. – In conclusione, la sentenza va cassata in relazione al motivo accolto e la causa rinviata alla Corte d’appello dell’Aquila, in diversa composizione, perchè, ferma la nullità del lodo per la ragione sopra esposta e dunque caduto il medesimo, esamini la domanda volta all’impugnazione dell’esclusione di P.M.E. dalla G.P.

Alla corte del merito si demanda pure la liquidazione delle spese di legittimità.

P.Q.M.

La Corte accoglie il quarto motivo, di ricorso, assorbiti gli altri;

cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia, anche per la liquidazione delle spese di legittimità, innanzi alla Corte d’appello dell’Aquila, in diversa composizione.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio, il 28 maggio 2015.

Depositato in Cancelleria il 28 luglio 2015″

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