Revoca della donazione per ingratitudine

Due coniugi donano alla figlia una somma di denato per l’acquisto di un immobile, nel quale quest’ultima si trasferiva insieme a loro.

Anni dopo, i coniugi avviano un procedimento di separazione con addebito in capo al marito, e la figlia invia quindi una diffida al padre a lasciare l’immobile. Il padre comunica di voler procedere alla revocazione della donazione per la grave ingiuria subita.

La donazione, disciplinata dall’art. 769 c.c., è un contratto con il quale una parte, detta donante, arricchisce un’altra parte, detta donatario, animato da mero spirito di liberalità.
L’arricchimento de quo si verifica mediante la disposizione di un diritto o l’assunzione di una obbligazione da parte del donante, a favore del donatario.

Lo spirito di liberalità richiesto ai fini della configurabilità del contratto in questione è il cosiddetto animus donandi, che consiste nella volontà e nella consapevolezza di attribuire al donatario un vantaggio patrimoniale, sebbene non sussista al riguardo alcun obbligo né giuridico né extragiuridico rilevante per l’ordinamento.

L’effetto della donazione è l’impoverimento del donante, ed il contestuale arricchimento del destinatario di essa.

Proprio la sua essenza di negozio gratuito, che trova causa nella volontà del donante e non comporta alcun onere od esborso del donatario, giustifica la previsione da parte del legislarote di alcune tassative cause di revocazione, previste agli artt. 800 e seguenti del Codice Civile.

Nello specifico, la donazione può essere revocata per ingratitudine (art. 801 c.c.) o per sopravvenienza di figli (art. 803 c.c.).

L’art. 801 c.c. statuisce che è possibile chiedere la revocazione per ingratitudine solo qualora il donatario abbia volontariamente ucciso o tentato di uccidere il donante, il coniuge o un suo ascendente o discendente; qualora abbia commesso in danno delle citate persone un fatto al quale la legge penale ricollega le disposizioni previste per l’omicidio; nel caso in cui abbia denunciato una di tali persone per un reato punibile con l’ergastolo o la reclusione per un tempo minimo di tre anni, se la denunzia viene dichiarata calunniosa in sede penale; se abbia testimoniato contro questi soggetti, i quali siano imputati nei predetti reati, e la testimonianza sia dichiarata falsa in un giudizio penale.

Oltre a tali ipotesi, legittima la richiesta di revocazione per indegnità il fatto che il donatario si sia reso colpevole di ingiuria grave nei confronti del donante, ovvero abbia arrecato con dolo un grave pregiudizio al patrimonio di quest’ultimo, o gli abbia senza giustificato motivo rifiutato gli alimenti dovuti.

È necessario chiarire quando un comportamento posto in essere dal donatario possa integrare gli estremi della grave ingiuria rilevante ai fini della configurabilità della revocazione della donazione per ingratitudine.

All’uopo è opportuno chiarire che l’ingiuria rilevante, pur mutuando il suo significato dal diritto penale, ha tuttavia in questo contesto una propria specificità.

Essa consiste in un comportamento del donatario che vada a ledere in modo diretto l’onore ed il decoro del donante, costituenti il patrimonio morale di quest’ultimo. L’ingiuria deve essere di gravità tale da avere non solo una potenzialità offensiva, ossia da essere astrattamente idonea ad arrecare danno alla sfera materiale del donante, ma deve essere anche e soprattutto espressione di ingratitudine, di un sentimento di avversione perdurante, tale da ripugnare alla coscienza comune.

In altre parole, è necessario che il donatario abbia, con il suo atteggiamento, manifestato in modo palese un durevole sentimento di disistima e di mancanza di rispetto nei confronti del donante, in contrasto con il sentimento di riconoscenza che, in base alla coscienza comune, dovrebbe caratterizzare l’atteggiamento del donatario.

Tali conclusioni sono avvalorate anche dalla giurisprudenza della Suprema Corte Civile, nella sentenza n. 7487 del 2011.

Nel caso in oggetto, l’atteggiamento della figlia concretizza un diritto di questa, compatibile con la situazione venutasi a creare. Non è riconducibile a disistima nei confronti del padre, né ad una volontà di ingiuriarlo, né tantomeno ad una mancanza di riconoscenza per la donazione della quale è stata destinataria. Per tale motivo, anche alla luce del principio qui iure suo utitur neminem laedit (chi esercita un suo diritto non nuoce ad alcuno), la donazione non potrà essere revocata per ingiuria grave.

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