
Il Tribunale di Prato in una recentissima sentenza del gennaio 2025 (la n. 51 del 25.01.2025) ha riconosciuto la sussitenza del danno non patrimoniale derivante dalla perdita di un animale d’affezione, delineando i caratteri e i casi in cui tale tipologia di danno può essere riconosciuta.
Il caso
La pronuncia in esame origina dal decesso di un cane affidato per qualche giorno ad una pensione per cani. Tuttavia, a seguito del decesso dell’animale i proprietari venivano avvisati non già dalla struttura bensì dalla polizia locale, quest’ultima infatti riferiva che l’animale era morto da tempo e in stato di decomposizione.
In seguito emergeva che il cane era stato male già qualche giorno prima. Infatti, il custode aveva visto l’accaduto – ossia il cane accasciarsi a terra – ma nulla aveva fatto, evitando di contattare sia la proprietaria dell’animale sia un medico-veterinario, lasciando perire il povero cane.
I proprietari, pertanto, invocavano la risoluzione del contratto per grave inadempimento della struttura, domandando la ripetizione delle somme versate nonché il risarcimento del danno.
Questi ultimi, infatti, argomentavano muovendo dal dettato costituzionale, in particolar modo l’art. 2 Cost. rappresentando come la perdita dell’animale rappresentasse una violazione del diritto inviolabile relativo al rapporto animale / uomo oltre che della proprietà privata, caratterizzando pregiudizio sia economico sia non patrimoniale.
Pertanto, appare logico quantificare il danno patrimoniale nel prezzo di acquisto dell’animale nonché nel mantenimento dello stesso presso la pensione: Si evidenzia inoltre il danno non patrimoniale quantificato in euro 48.000 stante il profondo legame affettivo con tutti i familiari.
Analisi giurisprudenziale
Con le c.d. “Sentenze di San Martino” una buona parte della giurisprudenza aveva negato la rilevanza costituzionale del rapporto tra gli animali d’affezione e i loro padroni, richiedendo a tal fine che la lesione di un bene costituzionalmente rilevante fosse grave e il danno non futile.
Inoltre, le Sezioni Unite avevano additato alcune delle ipotesi tipiche di un danno esistenziale relativo, tra cui veniva citato il danno derivante dalla morte dell’animale d’affezione.
In tal senso, la successiva giurisprudenza ha precisato come tale affermazione non sia un dogma che esclude sempre la risarcibilità di tale danno.
Il Tribunale pratese si discosta dalla visione originaria, approcciando una lettura in chiave contemporanea.
Soluzione del caso
Il Tribunale di Prato non manca di rilevare come tra le parti sia intercorso un contratto di deposito, pertanto si deve richiamare l’art. 1768, co. 1, c.c., il quale afferma che il “Il depositario deve usare nella custodia la diligenza del buon padre di famiglia.“
Gli attori, infatti, hanno provato di aver consegnato il cane presso la pensione nonché la morte dell’animale durante il tempo di custodia, operando in tal senso la presunzione semplice del buono stato di salute al momento della consegna.
Il Tribunale ha inoltre dimostrato la sussistenza della responsabilità extracontrattuale, la quale si fonda nel dovere di vigilanza gravante sull’operatore nonché sulla circostanza che l’animale gli fosse stato affidato.
L’omissione delle cautele necessarie, relative alle specifiche circostanze di salvaguardia dell’animale, determinano pertanto si correlano alla citata responsabilità.
Il custode, sebbene avesse constatato che l’animale stesse molto male, non si era attivato in alcun modo, addirittura allontanandosi dalla struttura e rientrando quando l’animale era già morto.
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