Trust auto-dichiarato

Una sezione della Cassazione ha recentemente stabilito che “non c’è trust se non c’è trasferimento di beni a un trustee“.

Da ciò conseguirebbe l’inesistenza del c.d. “trust auto-dichiarato“.

Tuttavia gli ordinamenti stranieri che prevedono il trust ammettono pacificamente il c.d. trust auto-dichiarato e, inoltre, anche la Legge Italiana prevede una pluralità di strumenti atti a costituire vincoli “auto-istituiti” (si pensi al fondo patrimoniale in primis).

Non dimentichiamo, poi, i c.d. escrow account, pacificamente utilizzati e diffusi in ambito commerciale e societario.

Di seguito il testo della sentenza citata.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE T

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CM – Presidente –

Dott. BS – Consigliere –

Dott. IM – Consigliere –

Dott. CG – Consigliere –

Dott. PAM – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ordinanza

sul ricorso 28189/2013, proposto da:

Agenzia delle entrate, in persona del direttore pro tempore rappresentato e difeso dall’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, presso gli uffici della quale in Roma, alla via dei Portoghesi, n. 12, domicilia;

– ricorrente –

contro

M.G., rappresentato e difeso, giusta procura speciale in calce al controricorso, dagli avvocati BG, VG e FC, elettivamente domiciliato presso lo studio di quest’ultimo, in Roma, alla piazza CR;

– controricorrente e ricorrente incidentale –

avverso la sentenza n. 194/52/12 della Commissione tributaria regionale della Campania, sezione 52, depositata in data 30 ottobre 2012;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 4 febbraio 2015 dal consigliere PAM e letta la relazione da lei depositata, che ha concluso per il rigetto del ricorso;

constatata la regolarità delle comunicazioni;

osserva quanto segue.

Svolgimento del processo

Emerge dalla narrativa della sentenza impugnata che M. G., notaio, ha rogato un atto costitutivo di un trust, in cui comparivano come disponenti i coniugi T.D. e P.M., che indicavano se stessi altresì come beneficiari, se in vita, altrimenti i figli in parti uguali e, in considerazione della mancanza di attualità di trasferimento di diritti, ha applicato in maniera fissa le imposte di registro, ipotecaria e catastale. Di contro, l’Agenzia delle entrate ha notificato al notaio un avviso di liquidazione, col quale ha recuperato, per quanto d’interesse, le imposte ipotecaria e catastale in misura proporzionale nonchè l’imposta sulle successioni e donazioni con l’aliquota dell’8%.

La Commissione tributaria provinciale ha accolto il ricorso proposto dal notaio e quella regionale ha respinto l’appello dell’ufficio, considerando, per un verso, che il trust è atto neutro e, per altro verso, che i suoi beneficiari sono titolari di una posizione qualificabile come aspettativa giuridica.

Ricorre l’Agenzia per ottenere la cassazione di questa sentenza, affidando il ricorso ad un unico motivo, al quale il notaio reagisce con controricorso e ricorso incidentale, calibrato sulla compensazione delle spese disposta in relazione ai due gradi di merito del giudizio, illustrati con memoria.

Motivi della decisione

1.- Il ricorso principale può essere definito in camera di consiglio, risultando manifestamente fondato.

2.- Con l’unico motivo del ricorso, proposto ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, l’Agenzia delle entrate lamenta la violazione e falsa applicazione del D.L. n. 262 del 2006, art. 2, commi 47, 48 e 49, convertito dalla L. n. 286 del 2006, in combinazione con gli artt. 9 ed 11, della parte I della tariffa allegata al D.P.R. n. 131 del 1986.

2.1.- Sebbene non in maniera perspicua, l’Agenzia sostiene che il regolamento descritto in narrativa, realizzando una destinazione giuridicamente vincolante dei beni per la soddisfazione del fine ivi specificato, debba essere assoggettato all’imposta sulle successioni e donazioni con l’aliquota dell’8%, mentre le imposte ipotecaria e catastale vadano applicate in misura proporzionale, giacchè la mancanza del requisito dell’onerosità non è sufficiente a ritenere l’atto privo di contenuto patrimoniale.

3.- Il regolamento voluto e realizzato dai coniugi T. – P., benchè sia denominato trust, non ne ha la fisionomia:

ne manca, difatti, uno dei tratti tipologicamente caratteristici, ossia il trasferimento a terzi da parte del settlor dei beni costituiti in trust, al fine del conseguimento dell’effetto, con carattere reale, di destinazione del bene alla soddisfazione dell’interesse programmato.

3.1.- Conferendo beni in trust, difatti, il disponente mira a modificare il risultato finale del negozio esterno di attribuzione patrimoniale, mediante l’obbligo assunto dal trustee d’imprimere a quanto trasferito la destinazione finale voluta.

Conformemente alla definizione di trust, allora (in base all’art. 2 della Convenzione dell’Aja del 1 luglio 1985, ratificata con L. 16 ottobre 1989, n. 364, secondo cui per trust “si intendono i rapporti giuridici istituiti… qualora dei beni siano posti sotto il controllo di un trustee nell’interesse del beneficiario”), la causa del relativo negozio sta nella conformazione funzionalmente orientata della proprietà.

3.2.- Sul punto, la Corte (Cass. 9 maggio 2014, n. 10105) ha ritenuto che, in base all’art. 2 della Convenzione, lo scopo caratterìstico del trust, che ha identificato con quello di costituire una separazione patrimoniale in vista del soddisfacimento di un interesse del beneficiario o del perseguimento di un fine dato, è conseguito mediante la separazione dei beni dal restante patrimonio del disponente e la loro intestazione ad altro soggetto, parimenti in modo separato dal patrimonio di quest’ultimo.

3.3.- E, in maniera ancora più eloquente, si è sancito che “presupposto coessenziale alla stessa natura dell’istituto è che il detto disponente perda la disponibilità di quanto abbia conferito in trust, al di là di determinati poteri che possano competergli in base alle norme costitutive. Tale condizione è ineludibile al punto che, ove risulti che la perdita del controllo dei beni da parte del disponente sia solo apparente, il trust è nullo (sham trust) e non produce l’effetto segregativo che gli è proprio” (Cass. pen., sez. 5^, 30 marzo 2011, n. 13276, Orsi; conforme, sez, 6^, 27 febbraio 2014, n. 21621, Soc. Fravesa).

3.4.- Difatti, l’art. 2, comma 2, lett. b), della Convenzione espressamente dispone che “i beni in trust sono intestati al trustee o ad un altro soggetto per conto del trustee”; e che il trust postuli l’alienazione dei beni del disponente emerge chiaramente dall’art. 2, comma 3, a norma del quale “il fatto che il disponente conservi alcuni diritti e facoltà o che il trustee abbia alcuni diritti in qualità di beneficiario non è necessariamente incompatibile con l’esistenza di un trust”: il diritto convenzionale, dunque, ammette, in astratto, che possano residuare in capo al settlor “alcuni diritti e facoltà”, postulando, in concreto, che il trustee o l’altro soggetto per conto di questo siano terzi rispetto al disponente.

4.- In questo contesto normativo, il contribuente deduce, e v’insiste in memoria, di aver richiamato l’applicazione, tra le leggi straniere che contemplano il trust, della Trust Jersey Law del 1994, come successivamente modificata, la quale all’articolo 9A prevede poteri indiscriminati del disponente.

Deriverebbero, dalla qualificazione come trust, rilevanti conseguenze, tra le quali, in primis, l’impossibilità della sua entificazione, ai fini della soggettività passiva.

4.1.- La questione, la quale comporterebbe un vaglio di validità secondo il diritto straniero prescelto (giusta l’art. 8 della Convenzione), che, per un verso, postula la formulazione di un giudizio di riconoscimento del trust nel nostro ordinamento, nel raffronto con le norme inderogabili e di ordine pubblico e, per altro verso, investe i limiti posti dalla Convenzione dell’Aja, che non detta regole di diritto sostanziale uniforme, risulta del tutto irrilevante ai fini della disciplina tributaria da applicare, in virtù, oltre che delle considerazioni che seguono, altresì del dato che l’avviso di liquidazione è stato indirizzato al notaio, a seguito e per effetto del rogito dell’atto in questione.

5.- Con disposizione innovativa, il D.L. n. 262 del 2006, art. 2, comma 47, come convertito, prescrive che “è istituita l’imposta sulle successioni e donazioni sui trasferimenti di beni e diritti per causa di morte, per donazione o a titolo gratuito e sulla costituzione di vincoli di destinazione, secondo le disposizioni del testo unico delle disposizioni concernenti l’imposta sulle successioni e donazioni, di cui al D.Lgs. 31 ottobre 1990, n. 346, nel testo vigente alla data del 24 ottobre 2001, fatto salvo quanto previsto dai commi da 48 a 54”.

5.1.- Il tenore della norma evidenzia che l’imposta è istituita non già sui trasferimenti di beni e diritti a causa della costituzione di vincoli di destinazione, come, invece, accade per le successioni e le donazioni, in relazione alle quali è espressamente evocato il nesso causale: l’imposta è istituita direttamente, ed in sè, sulla costituzione dei vincoli.

5.2.- Vincoli, che designano non negozi, bensì l’effetto giuridico di destinazione, mediante il quale si dispone, ossia si pone fuori da sè (e non necessariamente in favore di altri da sè) un bene, orientandone i diritti dominicali al perseguimento degli obiettivi voluti: alla disposizione non è coessenziale l’attribuzione a terzi, in quanto merce la destinazione si modula e non trasferisce il diritto.

6.- L’imposta sulla costituzione di vincolo di destinazione è un’imposta nuova, accomunata solo per assonanza alla gratuità delle attribuzioni liberali, altrimenti gratuite e successorie; essa riceve disciplina mediante un rinvio, di natura recettizio – materiale, alle disposizioni del decreto legislativo 346/90 (in quanto compatibili:

D.L. n. 262 del 2006, art. 2, comma 50, come convertito), ma conserva connotati peculiari e disomogenei rispetto a quelli dell’imposta classica sulle successioni e sulle donazioni.

6.1.- Ciò in quanto nell’imposta in esame, a differenza che in quella tradizionale, il presupposto impositivo è correlato alla predisposizione del programma di funzionalizzazione del diritto al perseguimento degli obiettivi voluti; là dove l’oggetto consiste nel valore dell’utilità della quale il disponente, stabilendo che sia sottratta all’ordinario esercizio delle proprie facoltà proprietarie, finisce con l’impoverirsi.

6.2.- Se questa imposta abbisognasse del trasferimento e, quindi, dell’arricchimento, essa sarebbe del tutto superflua, risultando sufficiente quella classica sulle successioni e sulle donazioni, nelle quali il presupposto d’imposta è, giustappunto, il trasferimento, quantunque condizionato o a termine, dell’utilità economica ad un beneficiario: si prospetterebbe, in definitiva, l’interpretatio abrogans della disposizione in questione.

7.- E’, allora, evidente la manifesta infondatezza dei dubbi di legittimità costituzionale della disposizione prospettati dal controricorrente per la dedotta violazione dei principi di ragionevolezza e di capacità contributiva, in ragione della mancanza di arricchimento: con riguardo all’imposta in esame, non rileva affatto la mancanza di arricchimento, giacchè il contenuto patrimoniale referente di capacità contributiva è ragguagliato all’utilità economica, della quale il costituente, destinando, dispone.

7.1.- Visto che il referente assunto dal legislatore è l’utilità economica e che questa utilità è destinata ad altri, il peso del prelievo coerentemente va a gravare sull’utilità e, in definitiva, sul beneficiario finale, al quale essa è destinata a pervenire.

7.2.- Il rilievo della capacità economica, del resto, è correlato al contenuto patrimoniale di atti o fatti, non già al trasferimento attuale di diritti: la capacità contributiva, ha chiarito la Consulta, è da intendere come attitudine ad eseguire la prestazione imposta, correlata non già alla concreta situazione del singolo contribuente, bensì al presupposto economico al quale l’obbligazione è correlata (Corte cost. 20 luglio 1994, n. 315), di modo che “è sufficiente che vi sia un collegamento tra prestazione imposta e presupposti economici presi in considerazione” (Corte cost. 21 maggio 2001, n. 155). Di qui altresì la non irragionevolezza della disposizione.

8.- Ciò posto, il legislatore, evocando soltanto l’effetto, ha inequivocabilmente attratto nell’area applicativa della norma tutti i regolamenti capaci di produrlo.

8.1.- Tra questi, vanno annoverati anche gli atti di destinazione contemplati dall’art. 2645 ter c.c., che, sebbene sia precipuamente volto a disciplinare la pubblicità dell’effetto destinatorio e gli effetti – specialmente di opponibilità ai terzi – da questa derivanti, finisce col delineare un atto con effetto tipico, reale, perchè inerente alla qualità del bene che ne è oggetto, sia pure con contenuto atipico purchè rispondente ad interessi meritevoli di tutela, assurgendo per questo verso a norma sulla fattispecie.

8.2.- La norma risponde difatti all’esigenza di rendere tipica la volontà destinatoria; se così non fosse, essa sarebbe inutile, essendo già consentito dal principio di libertà, proprietaria e negoziale, di fare l’uso che si crede dei propri beni e, quindi, anche di impiegarli per determinate finalità.

9.- E’, questa, la situazione che ricorre nella fattispecie in esame, in cui non si è prodotto effetto traslativo alcuno, ma in cui i disponenti, nel regolamentare i propri interessi con effetti assimilabili a quelli di un fondo patrimoniale, hanno impresso, come effetto immediato e diretto, vincoli temporanei al libero esercizio dei propri stessi diritti sui beni immobili in oggetto.

9.1.- L’effetto immediato e diretto della previsione del vincolo di destinazione si è prodotto nella sfera giuridica dei coniugi T. – P., che sono rimasti proprietari dei beni e che giustappunto merce il vincolo su di essi impresso sono riusciti a conseguire gli effetti voluti.

9.2.- Di qui la ricorrenza, oltre che del presupposto impositivo, anche della qualità di soggetti passivi in capo ai coniugi non soltanto dell’imposta sulle successioni e donazioni, ma anche ipotecaria e catastale, in misura proporzionale, come stabilito, rispettivamente, dall’art. 2, comma 2, e dal D.Lgs. 31 ottobre 1990, n. 347, art. 10.

10.- In relazione all’aliquota applicabile, la misura dell’8% prevista dal comma 49, lett. c), della medesima norma è imposta dalla sua natura residuale, non rientrando la figura dei conferenti, che seguitano ad essere proprietari dei beni, in alcuna delle altre categorie previste dalla norma, che godono di aliquota inferiore.

11.- La soggettività passiva dei coniugi T. / P. comporta la legittimità della pretesa avanzata nei confronti del notaio, giacchè, ha precisato la corte sia pure in tema d’imposta di registro (le disposizioni relative alla quale sono comunque applicabili per il profilo in esame in virtù del rinvio contenuto nel D.Lgs. 31 ottobre 1990, n. 346, art. 60), egli, nella qualità di responsabile d’imposta, è obbligato al relativo pagamento in solido con i soggetti nel cui interesse ha rogato l’atto, mentre l’amministrazione ha la facoltà di scegliere l’obbligato al quale rivolgersi, senza essere tenuta a notificare l’avviso anche agli altri (Cass. 21 febbraio 2007, n. 4047; ord. 2 luglio 2014, n. 15005).

12.- Il ricorso principale va in conseguenza accolto, in esso assorbito quello incidentale e la sentenza impugnata cassata, con rinvio, anche per le spese, ad altra sezione della Commissione tributaria regionale della Campania, che si atterrà al seguente principio di diritto:

“L’atto denominato trust, funzionale, quoad effectum, all’applicazione di un regolamento equiparabile ad un fondo patrimoniale, va qualificato ai fini tributari come atto costitutivo di vincolo di destinazione, con le conseguenti assoggettabilità alla relativa imposta dei beneficiari della destinazione e responsabilità d’imposta del notaio rogante”.

P.Q.M.

la Corte:

accoglie il ricorso principale, in esso assorbito quello incidentale;

cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche per le spese, ad altra sezione della Commissione tributaria regionale della Campania.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio, il 4 febbraio 2015.

Depositato in Cancelleria il 25 febbraio 2015″

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