Transazione e giudizio civile

Cosa accade qualora le parti di un giudizio civile stipulino una transazione per porre fine alla lite, ma non diano atto nel giudizio in corso dell’esistenza di questa ed il giudizio si concluda con una sentenza passata in giudicato?

La transazione, in base all’art. 1965 c.c., è un contratto a prestazioni corrispettive, con il quale le parti mettono fine ad una controversia già esistente o ne prevengono una futura, facendosi reciproche concessioni.

Può essere generale, se serve a chiudere tutti i rapporti pregressi esistenti tra le parti, o speciale, se relativa ad una sola posizione.

Ai fini della sua validità, è necessario che abbia ad oggetto una res dubia, ossia un rapporto che presenti il carattere dell’incertezza, e che le parti rinuncino entrambe ad un potenziale vantaggio.

Poiché la norma nulla dispone al riguardo, la transazione può intervenire in qualsiasi stato e grado del giudizio, finché la sentenza conclusiva non passi in giudicato.

A tale proposito, è necessario considerare l’incidenza del passaggio in giudicato di una sentenza che definisce il giudizio in ambito civile, in particolare nel caso in cui nessuna delle parti menzioni in tale giudizio l’esistenza di una transazione relativa all’oggetto del giudizio.

Principio fondamentale in ambito processuale è che il giudicato copra sia il dedotto che il deducibile; corollario di questo principio è che non è possibile far valere, in un giudizio di opposizione all’esecuzione di una sentenza passata in giudicato, dei fatti estintivi o modificativi del rapporto dedotto in giudizio e deciso nella sentenza impugnata, se preesistenti al passaggio in giudicato di quest’ultima.

Di conseguenza, qualora le parti addivengano alla stipulazione di una transazione prima della pronuncia di tale sentenza e della formazione delrelativo giudicato, ma non la deducano nel corso del procedimento, essa non potrà essere fatta valere in un momento successivo.

La situazione accertata dalla sentenza de qua non sarà più modificabile, e sarà quindi preclusa alle parti la possibilità di impugnazione.

Queste osservazioni trovano sostegno nella recente giurisprudenza della Corte di Cassazione Civile, in particolare nella sentenza n. 2155 del 2012.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. P.L. – Presidente

Dott. B.G.A. – Consigliere

Dott. B.E. – Consigliere

Dott. M.F. – Consigliere

Dott. C.A. – rel. Consigliere

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

S.P. (C.F.: (OMISSIS)) e P.R. (C.F. (OMISSIS)), rappresentati e difesi, in forza di procura speciale a margine del ricorso, dall’Avv. B.F. e domiciliati “ex lege” presso la Cancelleria della Corte di cassazione;

– ricorrenti –

contro

M.C. (C.F.: (OMISSIS)) e M.A. M. (C.F.: (OMISSIS)), entrambi rappresentati e difesi, in virtù di procura speciale a margine del controricorso, dagli Avv.ti N.A. e G.A. ed elettivamente domiciliati presso lo studio del secondo, in Roma, alla via delle B.A., n. 7;

– controricorrenti –

e D.N.M. (C.F.: (OMISSIS)), rappresentata e difesa, in virtù di procura speciale a margine del controricorso, dagli Avv.ti R.G. e R.G. ed elettivamente domiciliata presso lo studio del secondo, in Roma, alla via R.C., n. 16;

– controricorrente –

Avverso la sentenza della Corte di appello di Venezia n. 1336/2009, depositata il 27 agosto 2009;

Udita la relazione della causa svolta nell’udienza pubblica del 20 gennaio 2012 dal Consigliere relatore Dott. A.C.;

uditi gli Avv.ti R.G., per la controricorrente D. N.M., e G.A., per i controricorrenti M. C. e M.A.M.;

udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. D.S., che ha concluso per l’inammissibilità del ricorso.

Svolgimento del processo

Con citazione notificata il 19 luglio 1999 il sig. D.N. A. – sul presupposto che il 10 dicembre 1997 aveva concluso con S.P. e P.R. un accordo con il quale aveva definito transattivamente una controversia radicata davanti al Tribunale di Vicenza al fine di far valere la prelazione agraria ed ottenere il riscatto di un fondo alienato a terzi – conveniva in giudizio, dinanzi al Tribunale di Vincenza – sez. distaccata di Schio, i predetti S.P. e P.R. per sentir accertare e dichiarare che, con il menzionato atto transattivo del 10 dicembre 1997, i due convenuti avevano ceduto ad esso attore otto campi vicentini come contropartita alla rinuncia all’azione di prelazione proposta in giudizio dal medesimo attore, terreno identificato come descritto e visivamente rappresentato nelle cartelle planimetriche prodotte (o da identificarsi in corso di causa), e, quindi, per sentirsi dichiarare proprietario degli immobili da ricavare dai mappali del Comune di Santorso, foglio 5^ – mappali nn. 104, 105, 106 ed altri che fossero eventualmente risultati. Nella costituzione dei convenuti, il Tribunale adito, con sentenza n. 204 del 2002, rigettava la domanda attrice, fatta propria dalle intervenute eredi dell’originario attore, D.N.M. e D.N.E.. Interposto appello da parte di queste ultime e nella resistenza delle parti appellate, con la sopravvenuta costituzione di M.C. e M.A.M. quali eredi della deceduta D.N.E., la Corte di appello di Venezia, con sentenza n. 1336 del 2009 (depositata il 27 agosto 2009), accoglieva il gravame e, in riforma dell’impugnata sentenza, disponeva il trasferimento, in favore di D.N.M. per la quota del 50% e in favore di M.C. e M.A. M. per la residua quota del 50%, della proprietà del fondo come dedotto in controversia, ordinando le conseguenti disposizioni in punto trascrizione e condannando gli appellati, in solido fra loro, alla rifusione delle spese di entrambi i gradi di giudizio.

A sostegno dell’adottata decisione la Corte territoriale riteneva, innanzitutto, che non aveva rilievo, nel caso in questione, la circostanza che la transazione fosse stata stipulata il 10 dicembre 1997, ovvero dopo la deliberazione della sentenza (il 4 dicembre 1997) con la quale era stata rigettata la domanda proposta dal D. N.A. e prima della sua pubblicazione (intervenuta solo l’11 marzo 1998) e che, inoltre, l’inopponibilità del giudicato, costituito dalla sentenza n. 255 del 1998 resa “inter partes”, all’atto di transazione derivava dal fatto che il giudicato non si forma in relazione a fatti che avrebbero potuto essere dedotti nel giudizio di merito, essendo sopraggiunti in una fase del processo di cognizione che non avrebbe consentito nuove allegazioni difensive.

Oltretutto, rilevava ancora la Corte veneta, la volontà comune espressa dalle parti in causa era quella di non tener conto alcuno della sentenza e di dare esecuzione unicamente all’accordo transattivo, per come era desumibile dallo stesso contenuto dell’atto di transazione. Pertanto, in virtù dell’inadempimento dell’obbligo che i sigg. S. e P. si erano assunti con l’atto di transazione e non potendosi ravvisare alcun inadempimento nei confronti del D.N.A., conseguiva la fondatezza nel merito della domanda come da quest’ultimo originariamente proposta, con la derivante emanazione della sentenza traslativa della proprietà in suo favore ai sensi dell’art. 2932 c.c.. Avverso la suddetta sentenza di secondo grado (non notificata) hanno proposto ricorso per cassazione S.P. e P.R., articolato in un unico complesso motivo, al quale hanno resistito con controricorso, da un lato, gli intimati M.C. e M.A.M. e, dall’altro, l’intimata D.N.M..

I difensori dei ricorrenti e della controricorrente D.N. M. hanno depositato memoria illustrativa ai sensi dell’art. 378 c.p.c..

Motivi della decisione

1. Rileva, innanzitutto, il collegio che il controricorso proposto nell’interesse di M.C. e M.A.M. deve considerarsi ammissibile poichè, se è vero che non vi è una perfetta corrispondenza tra i nominativi dei difensori indicati nel testo dell’atto difensivo e quelli riportati nella procura speciale a margine e sottoscrittori della stessa (oltre che del medesimo controricorso), emerge, in ogni caso, che la procura risulta certamente conferita, in modo rituale, all’Avv. Giuseppe Ambrosio, il quale, oltre ad essere richiamato nel controricorso, ha regolarmente sottoscritto l’atto. Del resto, secondo la prevalente giurisprudenza di questa Corte (cfr. Cass., S.U., n. 10732 del 2003 e Cass. n. 15718 del 2006) – in contrasto con quanto dedotto nell’interesse dell’altra controricorrente D.N.M. – la certificazione da parte di avvocato che non sia ammesso al patrocinio innanzi alla Corte di cassazione dell’autografia della sottoscrizione della parte ricorrente (o di quella resistente) apposta sulla procura speciale “ad litem” rilasciata “in calce” o “a margine” del ricorso (o del controricorso) per cassazione, costituisce mera irregolarità allorchè l’atto sia stato firmato anche da altro avvocato iscritto nell’albo speciale e indicato come codifensore (come verificatosi nel caso di specie).

2. Con l’unico articolato motivo i ricorrenti hanno censurato la sentenza impugnata per violazione degli artt. 2908 e 2909 c.c. in tema di giudicato.

In particolare, i ricorrenti – che con la proposta impugnazione (contrariamente a quanto sostenuto dal P.G. nelle sue conclusioni) hanno sottoposto a critica l’intero impianto argomentativo della sentenza della Corte veneta – hanno dedotto che, nella specie, essendo intervenuta, nel primo giudizio intercorso tra le parti, la sentenza del Tribunale di Vicenza n. 255 del 1998 con la quale era stata respinta la domanda proposta dal D.N.A., poi passata in giudicato, la transazione intervenuta tra le stesse parti successivamente alla precisazione delle conclusioni e prima della deliberazione della suddetta sentenza, si sarebbe dovuta considerare superata dal sopravvenuto giudicato, di cui il predetto D. N. avrebbe dovuto impedire la formazione (se avesse voluto che si producessero gli effetti della raggiunta transazione) o portando a conoscenza del predetto giudice la novità dell’accordo intervenuto anteriormente all’emanazione della decisione ovvero proponendo appello avverso la menzionata sentenza ed invocare, in sede di gravame, la verifica dell’avvenuta transazione e la conseguente cessazione della materia del contendere. Inoltre, i ricorrenti hanno censurato, qualificandolo contraddittorio, il passaggio argomentativo della sentenza di appello in cui, per un verso, si negava che la transazione fosse idonea a comportare la cessazione della materia del contendere e, per altro verso, ha considerato la transazione stessa come sistemazione definitiva dei contrapposti interessi della parti in causa, così da non rendere neppure necessaria l’impugnazione della sentenza che venne successivamente emessa.

2.1. Il motivo, così come complessivamente svolto, è fondato e deve, pertanto, essere accolto.

Per come desumibile dalla narrativa del processo è emerso che, nel corso di un giudizio instaurato dinanzi al Tribunale di Vincenza dal sig. D.N.A., nei confronti dei sigg. S.P. e P.R. al fine di far valere la prelazione agraria ed ottenere il riscatto di un fondo alienato a terzi dai convenuti, le parti con scrittura privata sottoscritta il 10 dicembre 1997 concludevano un accordo, denominato “contratto di transazione”, con cui dichiaravano di voler porre fine alla controversia pendente, prevedendo che il D.N. avrebbe rinunciato all’azione ed agli atti del processo, mentre lo S. e la P., come contropartita a tale rinuncia, avrebbero ceduto all’attore una parte del fondo oggetto della prelazione agraria, della superficie di otto campi vicentini ed i cui confini erano meglio identificati nella scrittura. Nella scrittura in questione veniva, altresì, stabilito che la causa sarebbe stata abbandonata a spese compensate, mentre la rinuncia sarebbe stata effettuata e formalizzata davanti al giudice istruttore (nell’eventualità della rimessione in istruttoria della causa) solo dopo la cessione al D.N. del terreno oggetto della transazione. Sul piano temporale è importante rilevare che la convenzione transattiva, stipulata (come detto) il 10 dicembre 1997, intervenne successivamente alla celebrazione dell’udienza collegiale di discussione ma prima ancora che il Tribunale adito emanasse la sentenza (di rigetto della domanda attorea) e che quest’ultima venisse pubblicata in data 11 marzo 1998, senza essere, poi, impugnata, passando – come è incontroverso tra le parti – in cosa giudicata. Malgrado il sopravvenuto giudicato della sentenza n. 255 del 1998 del Tribunale di Vincenza, il D.N.A., con autonoma e successiva domanda giudiziale, chiedeva l’esecuzione, ai sensi dell’art. 2932 c.c., degli obblighi conseguenti alla conclusa transazione, deducendo che si disponesse, in suo favore, il trasferimento della proprietà dei terreni individuati nella stessa scrittura privata transattiva. Tale domanda veniva respinta dal Tribunale di Vicenza – sez. dist. di Schio con sentenza n. 204 del 2002 ed accolta, invece, in riforma della statuizione di primo grado, dalla Corte di appello di Venezia con la sentenza n. 1336 del 2009, in questa sede impugnata, sulla scorta delle motivazioni precedentemente richiamate.

Orbene, rileva il collegio che, così decidendo, la Corte veneta – in conformità di quanto dedotto con il formulato ricorso – è incorsa nella violazione delle denunciate norme poichè, provvedendo all’accoglimento della domanda del D.N.M. e D. N.E. (subentrate quali eredi di D.N.A.), ha considerato efficace la transazione conclusa nel corso del primo giudizio intentato dal loro dante causa in ordine al quale era, poi, sopravvenuto il giudicato relativo alla sentenza di rigetto. In tal modo la Corte territoriale è andata di contrario avviso alla concorde giurisprudenza di questa Corte (v., ad es., Cass. n. 6198 del 1984; Cass. n. 3755 del 1989 e, più recentemente, Cass. n. 3026 del 2005), secondo la quale, poichè nel contratto di transazione la causa del negozio si fonda sul presupposto che la lite non sia stata ancora decisa con sentenza passata in giudicato, deve ritenersi che quando, nonostante l’intervenuta composizione transattiva della controversia, questa sia stata definita con sentenza divenuta incontrovertibile, senza che alcuna delle parti abbia invocato la transazione nel corso dell’iter processuale, la situazione così accertata diviene intangibile, in quanto il giudicato copre il dedotto ed il deducibile, con la conseguenza che detta situazione non potrà essere rimessa in discussione in un successivo giudizio nel quale vogliano farsi rivivere gli effetti dell’accordo transattivo che rimane vanificato. In altri termini, nel caso in cui tra le parti di un giudizio , intervenga una transazione, senza tuttavia che alcuna di esse deduca nel medesimo la sopravvenuta composizione transattiva della controversia ed il giudizio sia, quindi, definito con sentenza non impugnata e passata in giudicato, la situazione accertata dalla sentenza diviene intangibile e preclude ogni possibilità di rimettere in discussione questa situazione in un successivo giudizio e di apprezzare e rilevare il contenuto dell’accordo transattivo. Invero la transazione e le eventuali correlate rinunce agli atti di un giudizio non possono sortire un effetto estintivo dei rapporti sostanziali e processuali in atto a prescindere dalla formale ed effettiva adozione di un provvedimento estintivo (od equiparabile, come la dichiarazione di cessazione della materia del contendere) nonchè dalle vicende concrete poi sviluppatesi nel giudizio in cui quei rapporti sostanziali siano stati introdotti e sottoposti alla cognizione del giudice e nel quale quei rapporti processuali si siano concretamente costituiti; da ciò consegue che il rilievo estintivo potenzialmente attribuibile alla transazione sopravvenuta nel corso di un giudizio non è in grado di affermarsi e di prevalere anche rispetto ad un successivo contrastante ed incompatibile giudicato formatosi nell’ambito di quel medesimo giudizio (proprio in virtù del presupposto della non intervenuta estinzione di quei rapporti e di quel giudizio). Quali, infatti, che possano essere i profili che abbiano influito sulla preclusione dell’adozione della pronuncia estintiva del giudizio, il difetto di quest’ultima implica che ogni eventuale successiva (anche se, in ipotesi, del tutto erronea) decisione sul merito dei rapporti dedotti originariamente in giudizio venga adottata dal giudice adito, ove non sia impugnata ed ove pervenga, quindi, alla stadio della “cosa giudicata”, impedisce ogni possibilità di apprezzabilità e rilevabilità dei contrastanti contenuti degli accordi transattivi e dei loro riflessi (v., in tal senso, anche le più recenti Cass. n. 20723 del 2007 e Cass. n. 22650 del 2008).

Pertanto, alla luce dei riferiti principi, deve rilevarsi che il D.N.A., al fine di far valere gli effetti della sopravvenuta transazione (sulla quale, poi, fondare la successiva domanda di adempimento degli obblighi dalla stessa trasparenti), avrebbe dovuto allegare tale circostanza sottoponendola all’attenzione del giudice di primo grado prima dell’emissione e conseguente pubblicazione della sentenza (cfr. Cass. n. 10241 del 1993 e Cass. n. 18179 del 2004), al fine di sollecitare la rimessione della causa sul ruolo per pervenire alla declaratoria di cessazione della materia del contendere (ed alla correlata estinzione del giudizio), ovvero, una volta pubblicata (in data 11 marzo 1998) la sentenza n. 255 del 1998 del Tribunale di Vicenza (con la quale era stata respinta la sua domanda), avrebbe dovuto impugnare quest’ultima sentenza per dedurre, in grado di appello, l’esistenza della intervenuta transazione ed ottenere una statuizione di cessazione della materia del contendere per sopravvenuto difetto di interesse delle parti. In mancanza dell’assolvimento di questo onere ed essendo sopravvenuto il giudicato, la vincolatività tra le parti degli effetti del giudicato, formatosi successivamente alla conclusione della transazione, ha comportato il superamento e l’assorbimento degli effetti riconducibili per le parti stesse all’accordo transattivo precedentemente concluso per definire la controversia, e che, nel corso del giudizio, non era stato fatto valere da alcuna di esse. Nel concreto, a seguito dell’emissione della sentenza di rigetto della sua domanda intervenuta con la richiamata sentenza n. 255 del 1998, il D.N.A. – che con la transazione aveva conseguito invece, in via convenzionale, un riconoscimento sia pur parziale delle sue pretese – avrebbe dovuto, per porre, poi, in esecuzione l’adempimento degli obblighi scaturiti dalla transazione stessa (donde la configurazione del suo interesse ad agire in proposito, difformemente da quanto erroneamente ritenuto dalla Corte veneta), impugnare la suddetta sentenza e dedurre in appello l’intervenuta cessazione della materia del contendere a seguito della transazione. E poichè l’impugnazione non era stata proposta, il giudicato relativo alla citata sentenza di primo grado con la quale era stata esclusa la fondatezza della domanda di prelazione agraria impediva – come esattamente ritenuto dal giudice di prime cure – al D.N.A. (e poi alle sue eredi) di poter ottenere dai convenuti una porzione del fondo oggetto della prelazione attraverso l’esecuzione in forma specifica della transazione, in quanto divenuta tra le parti del tutto inefficace (osservandosi, “ad abundantiam”, che – come altrettanto correttamente rilevato dal giudicante di primo grado – si sarebbe dovuto escludere che il D.N.A. potesse pretendere l’esecuzione in forma specifica dell’accordo transattivo, sul presupposto dell’inadempimento dei convenuti all’obbligo assunto con la stessa transazione di trasferirgli la proprietà del terreno come contropartita alla rinuncia, da parte sua, agli atti della causa di prelazione agraria, essendo mancata tale controprestazione, quando era ancora possibile, ed essendo divenuta, quindi, successivamente impossibile, una volta sopravvenuto il giudicato con riferimento alla sentenza di rigetto della sua domanda originariamente proposta).

3. In definitiva, il ricorso deve essere accolto, enunciandosi (a riconferma del precedente orientamento della giurisprudenza di questa Corte), in proposito, il principio di diritto in base al quale “nel caso in cui tra le parti di un giudizio intervenga una transazione, senza tuttavia che alcuna di esse deduca nel medesimo giudizio la sopravvenuta composizione transattiva della controversia (anche, se del caso, proponendo appello per dedurre tale circostanza in funzione dell’ottenimento della declaratoria di cessazione della materia del contendere e, conseguentemente, di estinzione del processo) ed il giudizio stesso sia, quindi, definito con sentenza non impugnata e passata in giudicato, la situazione accertata dalla sentenza, divenuta incontrovertibile, rimane intangibile e preclude ogni possibilità di rimettere in discussione questa situazione in un successivo giudizio e di far valere il contenuto dell’accordo transattivo mediante la proposizione di un’azione di adempimento in forma specifica degli obblighi assunti con la stessa transazione, da considerarsi divenuta ormai definitivamente inefficace”.

Non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, la causa – previa cassazione della sentenza impugnata – può essere decisa direttamente nel merito con la dichiarazione di rigetto dell’appello proposto da D.N.M. e D.N.E. avverso la sentenza del Tribunale di Vicenza – sez. dist. di Schio n. 204 del 2002, che deve intendersi, perciò, integralmente confermata.

Alla stregua della particolarità della fattispecie esaminata, dei pregressi rapporti intercorsi tra le parti, della peculiarità delle questioni giuridiche affrontate e dell’esito alterno della causa configuratosi nei gradi di merito, si ritiene che sussistano giusti ed obbiettivi motivi per dichiarare integralmente compensate tra le parti costituite le spese del grado di appello e quelle del presente giudizio.

P.Q.M.

La Corte accoglie il ricorso; cassa la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, rigetta l’appello proposto da D.N. M. e D.D.N.E. avverso la sentenza del Tribunale di Vicenza – sez. dist. di Schio n. 204 del 2002.

Compensa per l’intero tra le parti costituite le spese del giudizio di appello e del presente giudizio di legittimità.

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