La nuova class action

Il Parlamento ha appena approvato (il 3 aprile 2019 in via definitiva al Senato e ora in attesa di pubblicazione in Gazzetta Ufficiale) una profonda riforma della cosiddetta “azione di classe”, ossia la possibilità, per un gruppo di soggetti che si ritengano danneggiati da un terzo, di promuovere un giudizio collettivo.

Va subito evidenziato che le suddette novità avranno una gestazione lenta visto che entreranno in vigore dopo 12 mesi dalla pubblicazione in Gazzetta e varranno, unicamente, per i fatti e i danni occorsi successivamente; inoltre entro il medesimo termine annuale il Ministero della Giustizia dovrà approvare una serie di provvedimenti per disciplinare sia le attività da compiersi mediante il portale telematico, che per individuare i requisiti per l’iscrizione nell’elenco delle organizzazioni e associazioni legittimate alla azione di classe, nonché per determinare le spese di giustizia. 

Venendo alle modifiche introdotte, la volontà è quella di offrire uno strumento di tutela più incisivo rispetto alla precedente legge del 2010, che si è dimostrata per alcuni versi un “insuccesso” a causa del limitato ambito di applicazione e di una serie di difetti tecnici (dopo nove anni, infatti, dalla sua introduzione, gli studi rivelano che una causa su due è ammessa al giudizio e il risarcimento arriva in meno di due casi su dieci, peraltro molto basso, individualmente sotto i 100,00= euro).

Tutti abbiamo sentito e imparato a conoscere le class action americane, che raccontano di coraggiosi avvocati che si ergono a paladini di soggetti deboli contro grandi e potenti imprese responsabili di danni ambientali, truffe finanziarie e altre scelleratezze. L’azione di classe è, in effetti, un potenziale strumento di giustizia sociale poiché consente di unire le forze a una collettività di persone similmente danneggiate, ma che individualmente non avrebbero la convenienza o le risorse per agire a protezione dei propri diritti.

Ma se oltre oceano il sistema funziona perché inserito in un ecosistema giuridico ed economico molto diverso dal nostro, in Italia si è lontani dalla disciplina e dalle prassi americane, benché negli ultimi anni vi siano state aperture verso accordi simili al patto di quota lite e i danni punitivi.

Quali sono, dunque, oggi le principali novità?

La riforma appena approvata sposta la disciplina dal Codice del consumo (d.lgs. 206/2005) a quello di procedura civile (articolo 840 bis e seguenti) con l’inserimento di un nuovo titolo nel Libro IV sui Procedimenti speciali. La nuova collocazione della class action la rende di applicazione generalizzata di talché ne risultano ampliati i legittimati ad agire e i presupposti dell’azione: se prima l’azione era consentita solo ai consumatori in limitati casi, oggi possono attivarsi soggetti titolari di diritti omogenei (sono i cd. mass torts), individualmente o tramite comitati e associazioni, contro imprese o gestori di servizi pubblici per sostanzialmente qualunque illecito dannoso.

Non vi è più dunque la limitazione soggettiva e dover essere un consumatore, e oggettiva potendo la nuova azione riguardare qualsiasi situazione maturata a fronte di condotte lesive delle aziende.

Da un punto di vista procedurale, l’azione collettiva si svolgerà in due step:  

1) il primo, finalizzato alla ordinanza di ammissibilità della class action, è l’introduzione della causa con ricorso, seguendo esclusivamente il rito sommario ordinario nel Tribunale delle imprese del distretto dove ha sede l’azienda chiamata in giudizio;

2) una volta ammessa, viene pubblicata l’ordinanza sul portale del Ministero della giustizia – ai fini della pubblicità legale – ed entro 60 giorni sarà possibile presentare altre azioni basate sugli stessi presupposti.

Nuova quindi anche la modalità di adesione che possiamo identificare con il sistema opt-in: infatti, una volta ammessa l’azione, i soggetti potenzialmente lesi possono scegliere se promuovere azioni individuali, ovvero aderire a quella collettiva e beneficiare dell’eventuale risarcimento, pur non essendo formalmente “parte” del processo e potranno aderire al ristoro anche dopo la sentenza (tra i 60 e i 150 giorni).

La sentenza che accoglie l’azione di classe adottata dal Tribunale delle imprese ha carattere dichiarativo sull’accertamento della responsabilità, stabilisce le caratteristiche dei diritti individuali che possono far parte della classe, stabilisce quali documenti devono essere prodotti, statuisce sui diritti al risarcimento o alla restituzione, nomina altresì il giudice delegato e il rappresentante comune degli aderenti.

Va precisato che la sentenza suddetta provvede sì sulle domande risarcitorie / restitutorie ma, solo, se proposte da soggetti diversi da associazioni o organizzazioni; infatti per queste ultime la nuova disciplina rimanda al giudice delegato il quale dovrà accogliere le adesioni e condannare al pagamento delle somme dovute ad ogni aderente con un decreto che costituirà titolo esecutivo.

Ulteriore novità è il cd. accordo transattivo volto favorire la conciliazione tra le parti prima della sentenza, che può provenire o dal Tribunale, prima della discussione orale della causa, o dopo la sentenza mediante il rappresentante comune che può stipulare con l’impresa o l’ente resistente un accordo di natura transattiva.  

Ulteriore novità è la quota lite per il difensore che rappresenta gli aderenti che verrà determinato nel decreto del giudice delegato e trattasi di un compenso ulteriore rispetto al risarcimento. 

Infine, non manca la previsione della cd. azione inibitoria per la quale “chiunque vi abbia interesse” può chieder al giudice di ordinare a imprese o enti gestori di servizi di pubblica utilità la cessazione di un comportamento lesivo di una pluralità di individui ed enti commesso nello svolgimento delle rispettive attività o il divieto di reiterare una condotta commissiva od omissiva.

L’azione di classe, in sostanza, può essere un efficace strumento non solo di tutela di consumatori e investitori, ma anche per la regolazione delle attività economiche. Per questo, in altri sistemi giuridici affianca – a fini di deterrenza e sanzioni – la responsabilità penale e quella amministrativa.

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