Guida sotto effetto di stupefacenti

Recentemente la Corte di Cassazione si è pronunciata in merito al reato di guida sotto l’effetto di sostanze stupefacenti, previsto dall’art. 187 cds.

La Suprema Corte, nella sentenza n. 16059 del 2014, ha stabilito che, ai fini dell’affermazione della responsabilità per tale reato, non è sufficiente provare l’assunzione precedente di sostanze stupefacenti, ma è altresì necessario dimostrare che il soggetto agente si sia effettivamente posto alla guida in stato di alterazione causato dall’assunzione della sostanza.

L’orientamento prevalente della giurisprudenza di legittimità ritiene che il reato di cui all’art. 187 cds sia integrato “dalla condotta di guida in stato di alterazione psicofisica determinato dall’assunzione di sostanze, e non già dalla mera condotta di guida tenuta dopo l’assunzione di sostanze stupefacenti, sicché ai fini del giudizio di responsabilità è necessario provare non solo la precedente assunzione di sostanze stupefacenti, ma anche che l’agente abbia guidato in stato di alterazione causato da tale assunzione“.

Ai fini dell’accertamento del reato, è quindi necessario, secondo la Corte di Cassazione, procedere ad un accertamento tecnico – biologico, ed al contempo devono coesistere altre circostanze che provino lo stato di alterazione psicofisica al momento del fatto.

Ciò in quanto le tracce degli stupefacenti restano nel corpo per diverso tempo, con la conseguenza che l’esame tecnico potrebbe dare un esito positivo nei confronti di un soggetto che ha assunto la sostanza diversi giorni prima e che quindi, al momento del fatto, non si trova in stato di alterazione.

Di seguito la sentenza.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE QUARTA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. B. C. G. – Presidente –

Dott. D. C. Consigliere –

Dott. B. L. – rel. Consigliere –

Dott. I. E. – Consigliere –

Dott. D. M. – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

V.C.A. N. IL (OMISSIS);

avverso la sentenza n. 4078/2011 CORTE APPELLO di MILANO, del 14/12/2011;

visti gli atti, la sentenza e il ricorso;

udita in PUBBLICA UDIENZA del 13/02/2014 la relazione fatta dal Consigliere Dott. B. L.

Udito il Procuratore Generale in persona del Cons. M. G. che ha concluso per il rigetto del ricorso;

Udito il difensore Avv.to S. F. C. del Foro di Milano.

Svolgimento del processo

1. Con sentenza del 14 dicembre 2011 la corte di appello di Milano ha confermato la sentenza del Gip che, all’esito di giudizio celebrato con rito abbreviato, aveva riconosciuto V.C.A. colpevole dei reati di omicidio colposo commesso con violazione delle norme a tutela della circolazione stradale e di guida in stato di alterazione da sostanze stupefacenti, condannandolo alla pena di un anno, quattro mesi e venti giorni di reclusione, pena sospesa, e applicando la sanzione amministrativa accessoria della revoca della patente nonchè la confisca del motociclo da lui guidato. Il (OMISSIS) il V., alla guida del proprio motociclo, nell’impegnare l’incrocio tra via (OMISSIS) e viale (OMISSIS), urtava il pedone S.G. che stava attraversando la strada da destra verso sinistra, fuori delle strisce pedonali;

l’imputato stava superando sulla sinistra le macchine ferme in colonna, procedendo ad una velocità di circa 37 km/h, ritenuta non prudenziale in relazione alla manovra scorretta che stava compiendo.

Sia il tribunale che la corte d’appello ritenevano la responsabilità del V. per entrambi i reati; in particolare la corte d’appello rilevava come non potesse dubitarsi che lo stato di intossicazione per l’assunzione di sostanze stupefacenti fosse attuale, in tal senso deponendo i risultati delle analisi delle urine, confermati dal referto redatto dal medico del pronto soccorso dove era stato ricoverato. In ordine all’incidente, la corte di appello rilevava che l’imputato era stato ritenuto responsabile per aver tenuto una velocità non in assoluto eccessiva, ma imprudente rispetto alla concreta situazione e cioè in relazione alla manovra che stava compiendo; egli infatti si era spostato sulla sinistra per effettuare il sorpasso dei veicoli incolonnati e in tale situazione gli competeva un dovere di maggiore attenzione e prudenza per evitare ogni eventuale pericolo che si potesse verificare, come nella specie avvenuto.

2. Avverso tale sentenza ha presentato ricorso per cassazione il difensore dell’imputato che contesta la responsabilità per entrambi i reati; per quanto riguarda l’alterazione psicofisica, il ricorrente sostiene che si tratta di una circostanza, quella della presenza di cannabinoidi, accertata soltanto attraverso l’esame delle urine, esame però che, come la difesa aveva rappresentato già in sede di appello, può dimostrare soltanto la pregressa assunzione di sostanze stupefacenti e non la attualità del fatto che la persona si trovasse, al momento dell’incidente, sotto l’influenza dei cannabinoidi. Per quanto riguarda la presenza di benzodiazepine, la difesa rileva che all’imputato erano stati somministrati poco prima dei farmaci ansiolitici, essendo stato riscontrato lo stato di agitazione per l’incidente; la presenza di benzodiazepina era pienamente compatibile con tali dati; anche questa circostanza era stata debitamente rappresentata alla corte d’appello dal consulente tecnico nominato dall’imputato. Nè poteva ritenersi che la prova sussistesse, risultando confermato l’esito delle analisi cliniche dal referto medico, in quanto il referto era stato in realtà redatto sulla sola base delle analisi cliniche. Per quanto riguarda l’investimento del pedone la difesa insiste nel contestare la responsabilità dell’imputato affermando che il pedone era uscito all’improvviso dalla fila di auto incolonnate, con modalità tali da non essere visibile da parte dell’imputato, di modo che non era possibile alcuna manovra atta ad evitare l’investimento. La ritenuta velocità non prudenziale del V. in relazione alla manovra che stava effettuando non trova conferma nè nelle conclusioni del consulente del pm nè in quelle del consulente della difesa.

Motivi della decisione

1. Il primo motivo è, ad avviso del Collegio, fondato per quanto appresso si dirà.

Occorre premettere che secondo la più attenta e recente giurisprudenza di questa Corte (sez. 4^ 23.9.2013 n.39160 Rv. 256830; sez. 4^ 11.6.2009 n. 41796 rv. 24553; sez. 4^ 11.8.2008 n. 33312 rv. 241901) il reato di cui all’art. 187 C.d.S., è integrato dalla condotta di guida in stato d’alterazione psicofisica determinato dall’assunzione di sostanze e non già dalla mera condotta di guida tenuta dopo l’assunzione di sostanze stupefacenti, sicchè ai fini del giudizio di responsabilità, è necessario provare non solo la precedente assunzione di sostanze stupefacenti ma che l’agente abbia guidato in stato d’alterazione causato da tale assunzione. Ai fini dell’accertamento del reato è dunque necessario sia un accertamento tecnico-biologico, sia che altre circostanze provino la situazione di alterazione psico-fisica al momento del fatto contestato. Tale complessità probatoria si impone in quanto le tracce degli stupefacenti permangono nel tempo, sicchè l’esame tecnico potrebbe avere un esito positivo in relazione ad un soggetto che ha assunto la sostanza giorni addietro e che, pertanto, non si trova al momento del fatto in stato di alterazione. Deve dunque essere annullata sul punto la sentenza impugnata con rinvio al giudice di merito che valuterà se sussistano altre circostanze, riferite dagli agenti o comunque desumibili dal comportamento dell’imputato, sulla cui base possa affermarsi che il medesimo fosse in stato di alterazione al momento dell’incidente.

Quanto alla responsabilità per l’incidente, il ricorso non merita accoglimento.

Per quanto riguarda lo svolgimento dei fatti, la ricostruzione effettuata dalla Corte di appello, conforme a quanto già ritenuto in primo grado, è lineare, convincente e non contestata, nel senso che l’investimento del pedone da parte del V. è avvenuto allorchè il pedone stava effettuando l’attraversamento della strada passando tra le auto incolonnate ferme al semaforo e il V. stava sorpassando queste auto sulla sinistra. Correttamente il giudice di primo grado ha rilevato, e la corte di appello ha confermato, che il conducente di un veicolo ha un generale dovere di attenzione nei confronti dei pedoni in prossimità di un semaforo, essendo sempre possibile che si verifichi l’attraversamento fuori del passaggio pedonale, comportamento che, se pure imprudente, non è eccezionale o assolutamente imprevedibile. Il motociclista, spostandosi sul lato sinistro della carreggiata per sorpassare i veicoli incolonnati creava a sua volta una situazione di pericolo nella circolazione e doveva dunque prestare la massima attenzione e rallentare in modo da essere sempre in condizione di arrestare il proprio veicolo, anche a fronte di una possibile situazione di emergenza, in effetti verificatasi a seguito della condotta del pedone, ed in tal senso la velocità da lui tenuta se pure inferiore al limite consentito, risultava non prudenziale.

La motivazione è corretta: la misura della diligenza che si pretende nel campo della circolazione dei veicoli è massima, richiedendosi a ciascun utente, al fine di controbilanciare la intrinseca pericolosità della specifica attività considerata, peraltro assolutamente indispensabile alla vita sociale e sempre più in espansione, una condotta di guida di assoluta prudenza della quale fa parte anche l’obbligo di preoccuparsi della possibile irregolarità di comportamento di terze persone. Il principio dell’affidamento, nello specifico campo della circolazione stradale, trova un opportuno temperamento nell’opposto principio, già sopra richiamato, secondo cui l’utente della strada è responsabile anche del comportamento imprudente di altri utenti purchè rientri nel limite della prevedibilità. Non censurabile dunque è il ritenuto concorso di colpa.

2. Conclusivamente deve essere annullata la sentenza impugnata limitatamente al reato di cui all’art. 187 C.d.S., con rinvia per nuovo esame alla Corte di appello di Milano; il ricorso deve essere nel resto rigettato.

P.Q.M.

Annulla la sentenza impugnata limitatamente al reato di cui all’art. 187 C.d.S., e rinvia per nuovo esame alla Corte di appello di Milano.

Rigetta il ricorso nel resto.

Così deciso in Roma, il 13 febbraio 2014.

Depositato in Cancelleria il 11 aprile 2014

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